Spotify è un servizio musicale che offre lo streaming on demand di una selezione di brani di varie case discografiche ed etichette indipendenti
Il business dello streaming musicale tira, e questa è una verità sacrosanta. Da quando internet ha dato la possibilità alla gente di scaricare, con metodi più o meno (meno) legali tutta la musica che desideravano, ne è nato un circolo vizioso per cui i produttori hanno cominciato a immaginare nuovi metodi che potessero contrastare il download per continuare a incassare quel denaro che, progressivamente, si è ridotto all’osso.
Non tutti hanno avuto successo, come il recente Tidal di Jay-Z, vero e proprio fallimento nonostante il supporto di chi è rockstar per antonomasia, come Madonna.
Ma poi, dall’altro lato della barricata c’è Spotify, ed il suo sistema di streaming musicale di qualità che così bene ha fatto, e sta facendo negli ultimi anni. Ma il mercato resta competitivo e famelico (come ben sa chi ha assistito alla nascita della nuova piattaforma di webcast di Deezer) e tocca quindi tenersi al passo con i tempi e con le idee.
Con questa filosofia, Spotify ha appena annunciato il futuro del proprio servizio, letteralmente rivoluzionando la propria offerta, non tanto in termini di contenuti (la libreria discografica è decisamente IMMENSA), ma piuttosto integrando diverse novità al suo arcinoto servizio. Nulla di clamoroso quindi, ma piuttosto una manovra per poter restare sul trono dei servizi di fruizione musicale rendendo Spotify un vero e proprio centro di intrattenimento digitale.
Su tutto Spotify ha fatto si che grazie alle sue nuove integrazioni, Running e Spotify Now, ci sia per l’utente ancora una maggior personalizzazione nei contenuti fruibili, perfezionando quella che è un’esperienza di per sé già molto appagante e rispondono alle esigenze manifestate dagli utenti con una nuova disposizione dei contenuti.
Ma siamo all’inizio, perché la novità più intrigante sarà certamente l’integrazione video con cui Spotify non cerca di scalzare lo strapotere di YouTube (concetto ormai utopico) ma piuttosto di creare un’offerta diversa, magari anche per allentare la morsa che le major hanno sul servizio. Non dimentichiamoci, infatti, che Spotify versa oltre il 70% dei propri ricavati ai detentori dei diritti musicali, investendo cospicue quantità di denaro (e in anticipo) per riservarsi il diritto di riproduzione. Con l’introduzione dei video è dunque cauta ma quasi logica, con la possibilità di fruire di video brevi di pochi ma definiti partner. Il progetto, probabilmente, è quello di sfruttare la sua immensa
popolarità per gettare le basi di un business futuro e solo dopo, forse, offrirsi come alternativa nel video sharing a YouTube ma anche a Netflix, che tra l’altro è finalmente prossimo a sbarcare in Italia.
Ma qual è il piano sul lungo termine? Neanche a dirlo quello di sfruttare i contenuti video per trasformare gli utenti gratuti (che sono, come imaginerete, la stragrande maggioranza dei fruitori di Spotify) in utenti paganti e fidelizzati, così da ammortizzare sempre di più i costi facendo salire le entrate. Il tutto sul tavoliere dello streaming video, un campo di battaglia quanto mai violento e competitivo in cui, nonostante l’egemonia di servizi ben consolidatisi nel quotidiano collettivo, nascono comunque nuovi e prorompenti rookie.
Sarà battaglia all’ultimo streaming!