Il Bene tra teologia e filosofia

Bene comune, beni comuni: la provocazione e la teologia di due personalità del mondo laico

Il libro “Bene comune, beni comuni  – Un dialogo tra teologia e filosofia” di Elena Pulcini e Pier Davide Gaudenzi a cura di Simone Morandini, edito dalle Edizioni Messaggero di Padova ed acquistabile al costo di 9 euro si colloca all’ interno del percorso di riflessione condotto dalla Fondazione Lanza di Padova.

Esso mette in dialogo un teologo ed una filosofa proveniente dal mondo laico, accomunati da un’appassionata ricerca di un rinnovato pensiero sociale. Ne emergono intrecci inattesi tra percorsi differenti, a disegnare prospettive cariche di futuro. In particolare, si mette in rilievo che parlare di beni comuni significa affrontare un tema molto importante che si interseca con alcuni problemi fondamentali sia della storia della nostra civiltà, sia della nostra contemporaneità.

Il concetto di bene comune è la traduzione di un concetto che fa parte della filosofia da sempre (pur declinato in modi diversi) mentre decisamente inedito è il tema dei beni comuni. Oltre ai beni comuni vi sono i beni relazionali che sono beni che implicano dimensioni affettive, emotive, come fiducia, amicizia e solidarietà. Sono quelli per i quali, come sottolineano in questo caso concordi economisti, filosofi e sociologi,  la relazione fra le persone non è puro strumento per la soddisfazione dell’interesse individuale, ma rappresenta di per sé un bene comune. Mentre l’idea di bene comune, nella tradizione del pensiero sociale di ispirazione cristiana, si caratterizza per una peculiare ampiezza interpretativa che consente di istituire un nesso significativo con la questione contemporanea dei beni comuni.

 

Nell’ affrontare questo argomento ci sorge spontanea la seguente domanda:

Quali impedimenti specifici hanno finora ostacolato una corretta concettualizzazione della nozione di beni comuni? Tra le varie ragioni ascrivibili a questo problema ve ne sono due . Il primo impedimento attiene ad un’autentica confusione di pensiero: si continua a considerare quali sintomi, anche tra gli addetti ai lavori, i concetti di bene pubblico e comune. Pubblico è un bene che è né escludibile, né rivale nel consumo; un bene  indipendente da quello di altri. Si pensi, per fissare le idee, a quel che accade quando un individuo percorre una strada pubblica. L’utilità che questi trae dall’uso, non è legata a quella di altri soggetti che percorrono la medesima via. Comune, invece, è il bene che è rivale al consumo ma non è escludibile; ed in secondo luogo è tale che il vantaggio che ciascuno trae dal suo uso non può essere separato dal vantaggio che anche gli altri traggono da esso.

La reciprocità, dunque, è un dare senza perdere e un ricevere senza togliere.

D’altro canto, il principio di redistribuzione – che è il terzo pilastro che regge l’ordine –postula l’esistenza di un ente pubblico – tipicamente lo Stato che, avvalendosi della sua potestà coercitiva, impone sia il rispetto delle regole sia l’attuazione di trasferimenti di risorse da un gruppo sociale all’ altro per conseguire fini che esso dichiara di voler raggiungere. La prospettiva del bene comune può rappresentare il baricentro per definire un’adeguata triangolazione tra beni privati, quelli pubblici e quelli comuni.

A tal fine la significativa è la lettura offerta da Laura Pennacchi, i beni comuni non si identificano né con il “privato” né con “il pubblico; sono piuttosto un terzo elemento chiamato a far dinamicamente sistema con gli altri due.

 

 

 

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