Emergenza climatica, a Dubai si sperimenta la “pioggia artificiale”

Dato che la natura non ha aiutato finora, a Dubai le autorità hanno escogitato un modo, a dir poco innovativo, per creare la pioggia e per combattere l’ondata di caldo che attanaglia la città ormai da settimane.

Alcuni ricercatori degli Emirati Arabi Uniti hanno infatti messo a punto una tecnologia per droni che “scuote” le nuvole, così da costringerle a produrre e rilasciare pioggia. La ricerca si inserisce nel solco di uno sforzo multimilionario volto ad affrontare il clima a dir poco bollente di Dubai, ed a portare la magra media delle precipitazioni, ammontante a soli quattro pollici l’anno, del paese mediorientale, a dati più sostenibili.

Gli Emirati Arabi – una delle nazioni più aride della Terra – sono attualmente alle prese con un’ondata di calore che vede regolarmente i residenti a dover fronteggiare temperature di 50° C e oltre.

Il locale Centro Nazionale di Meteorologia ha, di conseguenza, iniziato a sperimentare l’uso di nuove tecnologie, montate su droni, che sprigionano cariche elettriche ad alta quota, nelle nuvole.

Tale metodo, noto come cloud-seeding, o “inseminazione delle nuvole”, spinge le nuvole a raggrupparsi ed formare copiose precipitazioni. Alcuni filmati spettacolari rilasciati dal Centro mostrano i primi risultati di questa sperimentazione: acquazzoni, simili a monsoni, che colpiscono le auto mentre percorrono le autostrade negli Emirati, in scene a cui ci si aspetterebbe di assistere, ad esempio, nei paesi del sud-est asiatico, sicuramente non negli Emirati Arabi.

Questa nuova tecnica sembrerebbe essere talmente efficace e promettente che, in alcuni paesi dove simili tecnologie sono in stato di sperimentazione, le autorità hanno dovuto addirittura emanare un allarme meteo per avvertire la popolazione locale.

Tornando a Dubai, fonti interne riferiscono che, ad un certo punto, l’acquazzone provocato è stato talmente drammatico che sono state sollevate preoccupazioni sul fatto che la tecnologia sia andata un passo oltre, con il rischio concreto, come riferito dalla testata Wired, di provocare addirittura delle inondazioni.

Il responsabile del progetto è il Prof. Maarten Ambaum, dell’Università di Reading, il quale lavora alle tecnologie di cloud-seeding dal 2017.

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