La decisione della Corte Penale Internazionale (CPI) di emettere mandati di arresto contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, accusati di crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi a partire dall’8 ottobre 2023, ha scatenato una tempesta di reazioni internazionali. Il contesto è quello del conflitto tra Israele e Hamas, in cui migliaia di civili sono stati coinvolti in azioni belliche di portata devastante. Secondo la CPI, i mandati si riferiscono a presunti attacchi sproporzionati che avrebbero violato il diritto internazionale umanitario, colpendo indiscriminatamente civili e infrastrutture essenziali a Gaza.
Le reazioni internazionali: Joe Biden e Matteo Salvini
La decisione della CPI è stata duramente criticata dagli Stati Uniti. Il presidente Joe Biden ha definito i mandati “scandalosi”, sottolineando l’assenza di “equivalenza morale” tra Israele e Hamas ha dichiarato, ribadendo il supporto incondizionato di Washington al governo di Gerusalemme.
In Europa, il vicepremier italiano Matteo Salvini ha preso una posizione simile, esprimendo indignazione per i mandati d’arresto: “Netanyahu è il benvenuto in Italia. I criminali di guerra sono altri”. Dalla Ungheria, il premier Viktor Orbán ha dichiarato apertamente che non rispetterà il mandato d’arresto internazionale, invitando Netanyahu a visitare il suo paese. Orbán ha criticato l’influenza di “alcuni paesi islamici” nelle decisioni delle istituzioni internazionali, posizionandosi come uno degli alleati più fedeli di Israele in Europa.
Le accuse contro Netanyahu e Gallant
Le accuse della CPI si concentrano principalmente sulle operazioni militari condotte da Israele nella Striscia di Gaza, che avrebbero causato la morte di migliaia di civili, inclusi numerosi bambini. Inoltre, sono state denunciate violazioni sistematiche dei diritti umani, tra cui il blocco totale di risorse essenziali, che ha aggravato la crisi umanitaria nell’enclave palestinese.
Secondo gli esperti di diritto internazionale, il mandato rappresenta un passo senza precedenti, dato che Israele non riconosce la giurisdizione della CPI. Ciò solleva interrogativi sulla fattibilità pratica dell’arresto di Netanyahu e Gallant, visto il sostegno di alleati potenti come gli Stati Uniti e diversi stati europei.
Una questione geopolitica
Questa decisione rischia di intensificare ulteriormente le divisioni all’interno della comunità internazionale. Da un lato, paesi e organizzazioni favorevoli alla Palestina considerano i mandati un atto di giustizia per i crimini subiti dai civili.
Dall’altro, Israele e i suoi alleati vedono l’iniziativa come un attacco politico che mina la legittima difesa dello Stato ebraico contro il terrorismo di Hamas. La decisione della CPI, indipendentemente dalle sue conseguenze legali, sembra destinata a riaffermare la profonda polarizzazione globale sul conflitto israelo-palestinese.
Mentre si attendono ulteriori sviluppi, la questione solleva interrogativi fondamentali sul ruolo e l’efficacia delle istituzioni internazionali nel contesto di conflitti così complessi e radicati.