Kristiansund, 26 febbraio 1973: un giorno maledettamente freddo nella cittadina norvegese. Un giorno che potrebbe essere come tutti gli altri, in un posto che raramente passa i 15 gradi centigradi, e che in inverno ha più camini accesi che persone, probabilmente. E invece no, quel giorno non fu affatto come tutti gli altri. In quel giorno, in quel posto dimenticato da molti, nacque Ole Gunnar Solskjaer, un biondo ragazzino che in pochi anni di vita sarebbe diventato una leggenda del Manchester United e dell’intero panorama calcistico norvegese. Raramente la nazione scandinava ha visto campioni del suo calibro nelle fila delle nazionale, e si può affermare senza troppi dubbi che Ole sia stato effettivamente il miglior calciatore norvegese della storia. Arriva in Inghilterra quando ha 23 anni, dopo le esperienze con le squadre di club della sua patria, e a Manchester fa una fatica molto grande a prendersi una maglia da titolare. Ma il norvegese ha una forza d’animo invidiabile, è uomo del nord, ed è anche uomo di mare: non saranno certo queste cose a scalfire i suoi sogni di diventare un grande del pallone.
Dal 1996 al 1999 la solfa è sempre la stessa: nel Manchester United ci sono davvero tantissimi campioni, come Andy Cole, Teddy Sheringham, David Beckham, Dwight Yorke, Ryan Giggs e molti altri. E’ per questo che Sir Alex Ferguson tende a far giocare Solskjaer con il contagocce, ma presto il norvegese si rivela un’arma potentissima per i Red Devils. Spessissimo, quando inserito a partita in corso, è in grado di cambiare le sorti di un weekend di un tifoso inglese. Ole segna, segna parecchio, segna con una media impressionante, e stampa sui visi rossi degli inglesi del nord dei sorrisi tanto naturali quanto rabbiosi, e vogliosi di vittorie più grandi. Nelle stagioni 1996-1997 e 1997-98 lo United vince un solo trofeo, ovvero la Premier League della prima delle due stagioni, collezionando inoltre una semifinale ed un quarto di finale di Champions League.
E’ proprio lì che i tifosi vorrebbero eccellere, nella competizione che raccoglie le più forti squadre d’Europa. E nel 1998-1999 qualcosa sembra potersi muovere. La cavalcata dei ragazzi di Ferguson è davvero memorabile. In virtù del secondo posto nella stagione precedente, al Manchester United spetta un solo turno preliminare: è contro i polacchi del Lodz, e la pratica viene archiviata con un 2-0 all’andata ed un pareggio a reti bianche al ritorno. Si entra nella fase a gironi, tutt’altro che semplice: a dirla tutta, probabilmente il girone più duro di quella edizione. Bayern Monaco, Manchester United, Barcellona e Brondby. Contro il Barcellona, il Manchester United gioca due partite indimenticabili: 3-3 all’andata e 3-3 al ritorno. 12 gol in 180 minuti, una media devastante per una competizione europea così importante. Altri due pareggi con il Bayern Monaco (1-1 e 2-2) dimostrano che il girone è equilibratissimo, e gli inglesi passano grazie a due vittorie larghissime contro i giallo-blu del Brondby: 6-2 e 5-0. Sono 10 i punti totalizzati, in un girone che li vede imbattuti, ed alle spalle del Bayern Monaco che di punti ne ha 11. E quei 10 punti, in quella edizione particolare della UEFA Champions League, bastano per essere la seconda delle migliori seconde, ed approdare dunque ai quarti di finale. Il sorteggio è italiano: ai Red Devils tocca l’Inter, formazione fortissima negli ultimi anni ’90, dotata di campioni del calibro di Zanetti, Blanc, Baggio (poco utilizzato), Zamorano, Seedorf, West, Vieri, e sopratutto lui, il fulmine brasiliano: Ronaldo. Il 2-0 casalingo per lo United, e lo 0-0 a San Siro, sparano Solskjaer e compagni nella top 4 d’Europa, ed ancora una volta tocca una partita in Italia, contro la Juventus. La pratica non è semplice, ma alla fine, in virtù di un 1-1 ed una vittoria per 3-2, alla finale di Barcellona ci arrivano Manchester United e Bayern Monaco, dall’altra parte del tabellone.
Il Bayern Monaco di quella stagione è molto forte, lo sanno tutti. Il mago Hitzfeld scende in campo con questi 11:
Kahn, Matthaus, Babel, Kuffour, Linke, Tarnat, Jeremies, Effenberg, Basler, Jancker, Zickler. Nella ripresa subentreranno Scholl, Fink e Salihamidzic, al posto di Mattahus, Basler e Zickler.
Il Manchester United prova a difendersi con la formazione di sempre, quella che per molti anni l’ha lasciato ai top del calcio inglese:
Schmeichel, G. Neville, Johnsen, Staam, Irwin, Giggs, Beckham, Butt, Blomqvist, York, Cole. Entrano anche Sheringham e proprio lui, Ole Gunnar Solskjaer, al posto di Blomqvist e Cole.
La partita si mette subito nei binari giusti per i tedeschi: Basler la insacca su punizione al 5′ minuto, ed il suo gol diventa uno dei più rapidi della storia delle finali di Champions League. Il Manchester United non è del tutto morto, ma le occasioni sono tutte dalle parti dei bavaresi, che colpiscono anche una traversa ed un palo. Ma all’80esimo la partita cambia: entra Solskjaer, che ancora una volta ha a sua disposizione solo una manciata di minuti per cambiare la partita.
Scade il 90esimo. C’è un calcio d’angolo per gli inglesi, anche Schmeichel entra in area ed il pallone finisce verso di lui. Una serie di rimpalli porta il pallone sul destro di Ryan Giggs, che forse la strozza troppo dal limite dell’area. Appare Teddy Sheringham, che con una piccola deviazione la butta dentro: sarà leggendaria, poi, la voce del telecronista inglese al momento del gol, con un urlo “SHERINGHAM!” degno del migliore ultras del nord dell’Inghilterra. Ma la magia di quella serata non è ancora finita: siamo al 93esimo, e c’è un altro corner per lo United. Sulla bandierina ancora il piede vellutato di Beckham, che la mette nel cuore dell’area di rigore. Solskjaer è appostato vicino al secondo palo, dato che 178 centimetri probabilmente non basterebbero per svettare sui tedeschi di testa. Arriva ancora una volta Teddy Sheringham, che svirgola il pallone di testa, rallentandolo e prolungandone la traiettoria.
3, 2, 1: c’è Solskjaer. Come se fosse un miracolo, come se fosse un segno del destino, come se fosse la notte più bella di tutte. La sua gamba si alza, e devia il pallone verso la rete di Kahn. E’ subito festa: il norvegese esulta prima di aver portato a termine il tocco della palla, perchè sa che quella palla sarebbe finita proprio a filo della traversa, cambiando le sorti di una nazione intera, o quasi. E in quella notte, forse, anche i cuori della gente di Kristiansund si saranno scaldati almeno di un pochetto.
E’ questa la storia di Solskjaer, che fu autore di altre stagioni molto positive in Inghilterra, ma che in quella notte di Barcellona salì sul trono della Gran Bretagna.