L’esito deludente del referendum, che supera di poco il 30% nella percentuale dei votanti, è divisivo nella sinistra, soprattutto per l’alto numero dei contrari al quesito sulla cittadinanza più favorevole agli extracomunitari. In particolare, il responsabile del comitato del Sì sul quesito, nonché segretario di Più Europa, l’onorevole Riccardo Magi, appare scatenato contro gli alleati del centrosinistra. La sua dichiarazione è pesante nei confronti degli ex grillini, esprimendo le seguenti parole: “Una parte significativa del Movimento Cinque Stelle non ha sostenuto questo referendum”, sulle quali arriva la risposta del leader Giuseppe Conte. Il presidente pentastellato dichiara: “Ci ha lasciato perplessi lo strumento del referendum, perché lo ritenevamo sbagliato nell’affrontare la questione della cittadinanza”.
Le reazioni nel centrosinistra
Il dirigente autorevole del centrosinistra Arturo Parisi, nonché storico consigliere dell’ex premier Romano Prodi, aveva definito il referendum dell’8 e 9 giugno come “il vero congresso del Partito democratico”. Altri importanti esponenti progressisti, invece, lo avevano definito come le “vere primarie del campo largo”, per decidere la guida della coalizione della sinistra alle prossime elezioni politiche in alternativa al centrodestra. Nessuno a sinistra ha ammesso la sconfitta politica, tranne il segretario della CGIL, Maurizio Landini, che aveva promosso i quesiti sul lavoro e puntava forse in modo velleitario a raggiungere il quorum del 50% più uno dei votanti, impresa molto ardua dopo la bocciatura della Consulta sul quesito riguardante l’abrogazione della riforma leghista dell’autonomia differenziata.
Il giudizio degli elettori e dei centristi
Dal referendum sono arrivati sassi sulla sinistra radicale e massimalista, che è stata probabilmente ritenuta dagli elettori troppo estremista ed ideologica. L’estremismo classista, la polarizzazione ideologica e la radicalizzazione politica non sono stati ritenuti gli ingredienti giusti da parte dell’elettorato del centrosinistra, soprattutto allo scopo di definire una cultura di governo. A giudizio dei centristi Renzi e Calenda, la ricetta non è adatta, e ne occorre una riformista, perché l’eccessiva politicizzazione dei referendum ha esposto la coalizione del centrosinistra a giocare un ruolo politico minoritario, settario ed eccessivamente fazioso.
Il confronto con il passato
Si può affermare che probabilmente il vecchio centrosinistra dei vari Marini, Rutelli, Veltroni e prima ancora di Prodi sia ritenuto molto più affidabile da una buona parte dell’elettorato, rispetto all’attuale coalizione di sinistra e progressista per come si è presentata di fronte ai cittadini italiani con questi referendum. Su questo aspetto, ovviamente, il dibattito è aperto, perché per diversi esponenti della sinistra il dato dei referendum è stato ritenuto positivo, perché numericamente superiore a quello che ha permesso la vittoria della coalizione di Giorgia Meloni attualmente al governo.
Il caso Matera e la “sorpresa” Nicoletti
Per quanto riguarda l’esito dei ballottaggi, più della stessa vittoria di Taranto nel centrosinistra tiene banco soprattutto la questione di Matera. Qui c’è stata la sorpresa della vittoria di Antonio Nicoletti, candidato del centrodestra, ma la situazione politica è particolarmente delicata nella città dei sassi. Nicoletti si è affermato al secondo turno, ricevendo il 52% dei consensi, rispetto al 37% del primo turno, facendo restare deluso Roberto Cifarelli, candidato del centrosinistra, che ha raccolto nel turno di ballottaggio il 48% dei voti.
L’anatra zoppa e i precedenti
Tuttavia, Nicoletti e soprattutto la coalizione di centrodestra non possono esultare, perché il nuovo sindaco deve lavorare tanto, per cercare di trovare una maggioranza che lo sostenga nel consiglio comunale. Infatti, si è verificato il cosiddetto fenomeno dell’anatra zoppa, per indicare un sindaco che, pur avendo ricevuto la maggioranza delle preferenze elettorali da parte dei cittadini, si ritrova a guidare un consiglio comunale la cui maggioranza è rappresentata da liste che hanno sostenuto un altro candidato alla poltrona di primo cittadino. Si tratta di un evento piuttosto raro, che comunque, da quando è in vigore la legge sull’elezione diretta del sindaco, si è già verificato, e precisamente nei comuni di Isernia, Nocera Inferiore, Torremaggiore, Marigliano, Avellino, Latina, Lecce, Avezzano, Maddaloni, Noci, Catanzaro e adesso Matera. Addirittura nel comune di Battipaglia questa situazione di anatra zoppa si è verificata due volte: la prima nelle elezioni comunali del 2007, e poi si è ripetuta alle successive amministrative del 2009. I consiglieri della coalizione, che al primo turno aveva ottenuto la maggioranza assoluta dei voti, si dimisero subito dopo il loro insediamento in consiglio comunale e determinarono lo scioglimento e conseguenti nuove elezioni amministrative nel comune di Battipaglia.
L’eccezione e la normativa
Effettivamente, in quasi tutti i casi di questo tipo, le amministrazioni hanno avuto una durata molto breve; ma c’è l’eccezione del comune di Noci, dove il sindaco Domenico Nisi è riuscito lo stesso a portare regolarmente a termine l’intero mandato di 5 anni, ed è stato pure riconfermato per un altro mandato alle successive elezioni amministrative. L’attuale normativa di riferimento per i comuni è il cosiddetto “TUOEL”, il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, che fu approvato con decreto legislativo n. 267 il 18 agosto 2000. La legge stabilisce che può verificarsi il caso dell’anatra zoppa quando, al primo turno, un gruppo di liste collegate ottenga almeno il 50%+1 dei voti validi, mentre la maggioranza dei voti per il sindaco vada a un candidato sostenuto da un altro gruppo di liste. In questo caso, non può scattare il “premio di maggioranza”, previsto a favore delle liste che sostengono il candidato sindaco effettivamente eletto. Questo premio non scatta nemmeno in caso di elezione del sindaco al primo turno, se le liste che lo sostengono non dovessero raggiungere il 40% dei voti.
Un dibattito ancora aperto
In realtà, l’interpretazione della legge su questo aspetto è ancora oggetto di dibattito giurisprudenziale e gli esiti spesso contrastanti inducono a riflettere sull’opportunità di mettere mano alla normativa per eventuali modifiche. Dopo la legge Gava negli anni Novanta, le leggi Bassanini hanno comportato una torsione monocratica piuttosto evidente, che sta diventando oggetto di dibattito anche per stabilire il numero dei mandati consecutivi per i sindaci eletti direttamente dal popolo, sulla falsariga di quello che sta avvenendo per i presidenti delle giunte regionali del Veneto e della Campania.