Un punto di domanda profondo, che spesso non ha una esauriente risposta per questi giovani inconsapevoli, come mine vaganti con un potenziale tutto da scoprire. Inconsapevoli di una propria identità, di valori nascosti, piccole anime a cui forse non è stato e non è trasmesso in modo giusto la loro preziosità, la loro unicità, il loro poter essere e il loro saper fare
Questi giovani apparentemente troppo tecnologici, immersi nei social network, in fuga dalle relazioni vere, abbandonati spesso davanti a computer, quasi come “parcheggiati” in attesa di chi sa che cosa, in una sorta di anestesia affettiva, dove il disagio a lungo andare presenta un conto a volte salato.
Ragazzi che lamentano che non si sentono ascoltati, presi in considerazione, accolti, capiti, ma giudicati, anche per la loro evidente aggressività, quasi rabbia, ma che denota soltanto una grossa fragilità, comprensibili a pochi.
In questo contesto dove le relazioni solo fragili, dove la solitudine dilaga, dove la comunicazione è quasi assente, la religiosità di questi ragazzi dove si colloca. L’esigenza di rendersi consapevoli di avere un’interiorità, delle emozioni da vivere, dei pensieri da esprimere, dei valori da condividere, dei sogni da inseguire è spesso nascosta e ha difficoltà ad emergere.
Hanno paura, paura di esprimersi, di non essere adeguati, di essere fragili, di non essere accolti, spesso ostaggi di credenze limitanti frutto di vissuti familiari non funzionali ai loro bisogni.
Lo sviluppo di una identità e affrontare un percorso emozionale in un adolescente è importante in quanto è un periodo di profonde trasformazioni e cambiamenti. Lo sviluppo religioso segue le tappe della maturazione affettiva, sociale, morale, intellettuale della persona. Molto dipende anche dall’aiuto che riceve e dal tipo di influsso che viene esercitato su di lui.
“Quando la religiosità incontra e aderisce a una religione, si concretizza in fede: la religione è infatti un mezzo per realizzare la religiosità. ll credente è quindi una persona nella cui psiche è avvenuta una sintesi significativa di religiositá e religione”.
Soltanto nell’adolescenza l’esperienza sociale va oltre il nucleo familiare per cercare al di fuori di esso i punti di riferimento e di confronto; è allora che i modelli culturali esterni giocano un ruolo determinante anche nella condotta religiosa.
L’adolescente per conquistarsi una propria coscienza morale e razionale si rende progressivamente autonomo. Respinge quanto aveva precedentemente accettato e imitato passivamente e riconosce soltanto ciò che acquisisce attraverso la propria convinzione; tende di conseguenza a elaborare una religiosità personale e individuale, in armonia con le proprie motivazioni e in funzione delle proprie problematiche.
È in questo periodo che la scuola gioca un ruolo fondamentale, un ruolo di sostegno, di formazione, di educazione inteso come “portare fuori”, un percorso dove i ragazzi possono essere accompagnati in questo meraviglioso che è la conoscenza di se, dei propri talenti, dei propri valori, delle proprie potenzialità, della propria spiritualità, della propria religiosità a prescindere dal credo cui abbracceranno.
Un percorso dove la formazione si trasforma in evoluzione in un processo di conoscenza inteso a valorizzare e a valorizzarsi, scuola intesa come un laboratorio di vita dove mettersi in gioco, dove formare e riscoprire la propria vera identità , i propri pensieri, i propri ideali e non quelli che gli hanno istillati gli altri.
Nel luglio 2012 è stata pubblicata la seconda edizione dell’Handbook of Religion and Health (Oxford University, 2012) curato dallo psichiatra statunitense Harold Koenig. Su circa 2.800 studi quantitativi che esaminano la relazione tra religione/spiritualità e benessere, pochi studi (4%) riportano una peggiore salute mentale o una minore salute fisica (8,5%), mentre la maggior parte degli studi (più di 1.800, circa 2/3) hanno trovato una relazione positiva tra religione/spiritualità e salute mentale e fisica. La netta maggioranza degli studi esaminati riguarda la fede cristiana.
Nel marzo 2012 poi una ricerca condotta da William Jeynes, docente di pedagogia presso la California State University e senior fellow presso l’Istituto Witherspoon, ha rilevato gli studenti appartenenti a contesti sociali storicamente con più difficoltà in ordine alla riuscita negli studi, se conducono una vita di fede effettivamente vissuta in un contesto familiare ed ecclesiale stabile, riescono a ridurre considerevolmente il divario che li penalizza in termini di successo scolastico rispetto agli studenti bianchi.
Alla base comunque condurre una vista in consapevolezza, una vita in cui tutti gli aspetti della propria esistenza vengono valorizzati, senza mortificarne alcuno rende l’individuo più vero, più forte e integrato nel suo percorso di vita.