Romanticismo e un pizzico di follia. Di Salvatore Lo Schiavo

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La settimana che ha preceduto questa partita, è stata caratterizzata da una vicenda che va oltre il calcio, e scopre l’uomo che c’è dietro al calciatore. Il protagonista Daniele De Rossi.

In questa storia non c’è spazio per la ragione. Qui c’è romanticismo e un pizzico di follia, perché bisogna essere un po’ folli — o forse semplicemente innamorati della vita e dei sentimenti — nel donare per sempre la medaglia d’oro di Berlino 2006, posandola nel feretro di un amico: «Spazzolino», storico magazziniere della Nazionale. Qui c’è il cuore di Daniele De Rossi, uno che veleggia controcorrente nella vita in fondo così ripetitiva di un campione. Uno che nel 2012 annunciò in tv, a bordo di un taxi, che avrebbe rinnovato con la Roma. Uno che ha scelto di svegliarsi tutte le mattine respirando il Lungotevere, piuttosto che una comoda zona residenziale vicino a Trigoria. Che decide di tatuarsi addosso quello che a Roma si (stra)dice di lui, come a voler prendere in giro chi in giro vorrebbe mandarlo. Uno che ieri mattina, finito l’allenamento a Trigoria, ha sbrigato una faccenda che sentiva sua da qualche ora.

De Rossi aveva un appuntamento non rimandabile. È andato a Firenze, alle Cappelle del Commiato. C’erano i funerali di «Spazzolino», c’era da rendere omaggio a Pietro Lombardi, storico magazziniere della Nazionale che ha detto «basta magazzino» a 92 anni. Lo chiamavano così perché tirava a lucido le scarpe dei giocatori. L’ha fatto anche durante il Mondiale 2006, quello che De Rossi giocò poco per via di una gomitata allo statunitense McBride. Giocò poco ma fu comunque decisivo, perché cosa c’è di più drammaticamente complicato di un rigore calciato in una finale mondiale? Medaglia d’oro al collo di un 23enne, il punto più alto di una carriera alta pure lei. Carriera romantica, donata a una sola maglia, a cui manca solo uno scudetto per essere definita altissima. Romantico era pure Spazzolino, che aveva conquistato il cuore di De Rossi e quello di molti altri calciatori. Anche Francesco Totti, per dire, gli ha dedicato un pensiero attraverso il suo blog appena saputa la notizia della scomparsa. De Rossi invece ha scelto il silenzio. Avrebbe preferito l’intimità, violata da una storia che merita di essere raccontata e che il centrocampista avrebbe probabilmente preferito tenere per sé. E così ieri mattina, prima di partire per Firenze, Daniele s’è messo in tasca la medaglia d’oro di Berlino, quanto di più prezioso potesse legarlo a Spazzolino. Ha salutato per l’ultima volta l’amico e ha posato al suo fianco quel pezzo di metallo, vicino per sempre. Come per garantire a quella vittoria con l’Italia un viaggio verso l’eternità. O più semplicemente solo per una promessa mantenuta. O meglio ancora, perché il ricordo è nella testa e nel cuore, non certo negli oggetti. E perché De Rossi non è di quelli che «le cose che possiedi finiscono prima o poi per possederti». Non sarà così. Almeno non sarà così con quella medaglia, finita a viaggiare luccicante vicino a Spazzolino.

Ma come sopra citato; questa è tutta un altra storia.
Archiviato questo triste, ma romantico momento, la Roma ha affrontato un Inter motivata a fare bene, per dimostrare di non essere stata solo un fuoco di paglia, d’inizio campionato.
Il match vede una Roma che gioca il suo calcio, ed impone i propri tempi, ed un Inter sulla difensiva, guardinga, pronta a sfruttare il minimo calo degli avversari. Come infatti, il calo arriva i giallorossi abbassano la guardia e Perisic non ci pensa sù due volte e porta in vantaggio i neroazzurri.
La prima volta che la Roma gestione Spalletti, e costretta ad inseguire. Ci prova in tutti i modi, dimostra di avere carattere, gioca imponendo il suo calcio, non si demoralizzano di fronte allo svantaggio..ed è proprio il ninja Raja, che da prode condottiero rimette in pari il punteggio.
Tutto sommato un buon pareggio contro un Inter molto attenta, che ha saputo creare grattacapi alla compagine giallorossa.

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