Palazzo Petrucci: contaminazioni stellate con Lino Scarallo e Gino Pesce


Casale del Giglio scende in campo a Palazzo Petrucci a Napoli e dà vita a contaminazioni stellate con Lino Scarallo e Gino Pesce in un pranzo a 4 mani e 2 stelle Michelin.

Palazzo Petrucci: chef Lino Scarallo e Gino Pesce con Casale del Giglio

Sono le 12 di un 9 maggio napoletano, finalmente caldo, e a Palazzo Petrucci va in scena un aperitivo, seguito da una pranzo, a 4 mani, a cura di Lino Scarallo, chef stellato residente, e Gino Pesce, chef stellato dell’Acqua Pazza dell’isola di Ponza. Il trait d’union è costituito da Casale del Giglio e i suoi vini che vengono sapientemente raccontati da Tommaso Luongo – delegato AIS di Napoli – con Laura Gambacorta a tessere i momenti con il garbo di sempre.

Ho il piacere di seguire l’evento per la rubrica viaggioemangio di Magazine Pragma e vi racconto come è andata. Capirete dal racconto che i sorrisi non sono mancati e che questi eventi sono importanti per la crescita generale del settore enogastronomico.

La famiglia Santarelli e Casale del Giglio: la ricerca che vince.

Casale del Giglio è un’azienda agricola laziale, nata nel 1967, della famiglia Santarelli che si trova in località Le Ferriere, Comune di Aprilia, Latina, a 50 km a sud di Roma e che dal 1985 porta avanti un progetto sperimentale molto ambizioso e che oggi raccoglie i frutti. Furono piantati sui loro terreni ben 57 diversi vitigni sperimentali, sia italici che internazionali, e con l’ausilio di ampelografi e ricercatori universitari, coordinati dall’enologo aziendale Paolo Tiefenthaler, creatore – fin dal principio – di tutti i vini firmati Casale del Giglio, oggi, si è arrivato al risultato che tra le Cultivar seguite, in collaborazione con il prof. Fulvio Mattivi, i risultati migliori sono arrivati da Chardonnay, Sauvignon, Viognier e Petit Manseng mentre tra le rosse con Shiraz, Petit Verdot e Tempranillo.

Non solo vitigni internazionali, ma anche autoctoni come il Bellone di Anzio, la Biancolella di Ponza, il Cesanese di Affile e di Olevano Romano e, da ultimo, il Pecorino di Amatrice/Accumoli in provincia di Rieti.

L’aperitivo di Palazzo Petrucci

Pronti via, Tommaso Luongo ci mette in carreggiata con un Tempranijo 2020 seguito da un Matidia Cesanese 2020, due rossi che subito fanno capire il lavoro che si sta svolgendo alla Casale del Giglio. Il Tempranijo è morbido, ci viene raccontato come la sua vendemmia sia fatta un pò più avanti del solito e nonostante ciò si evincono sapori fruttati, lampone, ciliegia, un tannino ancora giovane, è un vino pronto ma che ha l’aria di avere ancora strada dinanzi a sè. Il Matidia Cesanese 2020, nonostante da etichetta ha mezzo grado in meno, ma si parla comunque di 14°, si fa subito rispettare con un tannino più astringente e buona persistenza, sapido, al naso frutti rossi maturi. Anche il Matidia, un Cesanese in purezza, ha l’aria di un vino che possiamo conservare in cantina per un pò.

Per i due vini in degustazione, vengono serviti finger food a base di gamberi, soffici pan di spagna con burro e alici e crostini con melenzana fritta e cozze.

Pranzo a cura dello Chef Lino Scarallo e Chef Gino Pesce

Aperitivo dello Chef Lino Scarallo. L’aperitivo è stato accompagnato con Viognier 2021, un vino internazionale francese, fresco, con note fruttati tropicali e pesca e note floreali al naso.

Carpaccio di ricciola, rapa rossa, capperi e yogurt. Nel gioco dell’alternanza dei piatti, a seguire, lo Chef Gino Pesce porta in tavola un carpaccio di ricciola molto delicato che viene accompagnato da un Satrico 2021, con note di fiori estivi,fruttate di mela golden, la tostatura della nocciola, al sorso morbido e fresco. Un abbinamento armonioso per il palato.

Candela con riduzione di genovese, tartare di dentice, fonduta di provola e zeste di limone. E’ il turno di Lino Scarallo che serve un primo di candele alla genovese rivisitato con tartare di dentice in contrasto con la fonduta di provola e l’acidità delle zeste di limone. Un piatto a tendenza dolce che si lascia “chiudere” perfettamente dal Biancolella 2021, ma attenzione, è un biancolella di Ponza IGT, Faro della Guardia, che con le sue note minerali, che ricordano il territorio di Ponza di origine vulcanica, sapidità intensa e persistenza, sono ideali per accompagnare una genovese, ch eper quanto possa presentarsi rivisitate e gourmet, resta tale e va presa sulla distanza. Mi piace sottolineare che il biancolella, che generalmente per noi campani è sinonimo di Ischia, in questo caso è un vitigno autoctono di Ponza, importato da Ischia nel ‘700, zona autorizzata dal disciplinare. Veramente una piacevolissima sorpresa e una chicca da suggerire a coloro che amano ricercare le peculiarità territoriali nei vini.

Pesce spada marinato alla soia, cotto al forno, carote e semi di papavero. Torna in scena lo chef Gino Pesce con un trancio di tonno sublime, che subisce una sorta di “doppia” cottura tra marinatura e forno e la salsa di carote che lavora sulla rotondità del boccone. Il piatto è stato accompagnato da un Radix Bellone 2017, che con la sua persistenza, mineralità/sapidità si abbina perfettamente al piatto; vino intenso, al naso fiori gialli, frutta esotica e pesca. Un bianco 2017, di 5 anni, che fa notare tutte le sue potenzialità.

La pastiera stratificata di Lino Scarallo

Stratificazione di Pastiera Napoletana. Un capitolo a parte merita questo fantastico dolce a firma dello Chef Lino Scarallo, un vero capolavoro. Qualche anno fa, giravano ancora le lire, grandi pasticcieri napoletani furono a dir poco “sconcertati”, per non usare altri termini, di fronte a cotanto sacrilegio fatto a sua maestà “la pastiera napoletana” – lo stesso Chef Lino Scarallo a raccontarlo – ma in fondo era stato “semplicemente” un visionario realizzando una delle prime rivisitazioni dell apastiera napoletana (o pastiera scomposta, come si preferisce). La crema della pastiera è divina, si lascia mangiare con cupidigia, un cucchiaino tira l’altro. Il contrasto con le lamelle di pastiere è perfetto, la croccantezza alla masticazione, rende tutto speciale. E’ accompagnato da un Aphrodisium 2020, un passito laziale, a base di uve Petit Manseng, Viognier, Greco e Fiano, con profumi di frutta sciroppata, agrumi maturi e note di miele e fiori d’arancio che lo rendono giusto per accompagnare questa delizia la “stratificazione della Pastiera Napoletana” di Lino Scarallo.

Il fuori menu che ci piace, il Mater Matuta

Al termine del pranzo, gradevole e abbondante, con l'”autorizzazione” di Tommaso Luongo – che intanto raccontava i vari vini che si degustavano durante questo viaggio di contaminazioni lazial campano – si chiudeva con un fuori programma costituito dal Mater Matuta, un vino davvero importante, rosso rubino, al naso parte fruttata evidente, spezie – noce moscata e cannella – burroso, balsamico. Siamo a fine pasto ma il Mater Matuta nonostante la sua struttura si muove con eleganza in bocca e si fa amare. Una chiusura di livello per un’esperienza che consiglio.

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