Dopo la vittoria del NO al referendum greco del 5 luglio ed un estenuante fine settimana di trattative, ieri mattina L’EuroSummit ha finalmente definito un’intesa tra Grecia, istituzioni e gli altri paesi europei
Dai contenuti dell’accordo viene fuori un piano di aiuti da 86 miliardi di €. Angela Merkel ha precisato che questa somma, erogata dall’Esm (European Stability Mechanism, il cosiddetto fondo salva-Stati), è destinata in parte a ricapitalizzare le banche, tenute artificialmente in vita solo dalla liquidità d’emergenza della BCE, ed a ripagare ciò che resta dei debiti verso L’FMI e la BCE (circa 24 miliardi). A queste risorse bisogna poi aggiungere, come il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem ha dichiarato, i fondi UE ordinari, circa 35 miliardi per i prossimi anni, ed un prestito ponte in due tranches, per un totale di altri 12 miliardi, per far fronte alle prossime scadenze.
Tutto ciò è stato concesso facendo pagare al governo ed al popolo greco un conto salatissimo: domani, e non oltre, il Parlamento di Atene dovrà approvare le riforme concordate con i creditori, e soltanto allora partirà l’intervento dell’Esm. Tra queste citiamo la riforma delle pensioni, con l’abolizione dei baby-pensionamenti, la modifica delle aliquote IVA, la riduzione del regime fiscale agevolato per alcune isole, alcuni tagli alla spesa militare e l’aumento delle tasse agli armatori. In caso di insuccesso, le prossime scadenze potrebbero non essere onorate, andando irrimediabilmente verso una catastrofica Grexit.
In più, per risarcire il fondo salva stati, ripagare alcuni debiti, ed ottenere risorse aggiuntive per investimenti e politiche di sviluppo, i creditori hanno ottenuto da Atene la creazione del Fondo di Garanzia, nel quale far confluire beni pubblici destinati ad essere forzosamente privatizzati: tale fondo deve accumulare, attraverso le dismissioni, la mirabolante cifra di 50 miliardi di euro, da indirizzare agli obiettivi testé citati. Infine, Atene si è impegnata a rendere indipendente l’Istituto di statistica ed a riformare il codice civile entro sette giorni.
Segnalati brevemente i fatti, passiamo all’analisi del terzo memorandum greco: se da un le cifre che il governo greco va a ricevere sono notevoli, dall’altro notiamo come il combinato disposto di iter legislativo forzato e privatizzazioni per somme enormi (che a nostro parere semplicemente non avverranno mai: Papandreou mise in vendita beni per otto miliardi, riscuotendone faticosamente solo quattro) siano, nella sostanza, una totale cessione di sovranità dal parlamento alla Troika, cosa denigrata e considerata come odioso neo-colonialismo da Syriza durante le ultime campagne elettorali. Se si fosse giunti ad un accordo prima del 30 giugno, senza indire il referendum, Tsipras avrebbe dovuto effettuare una manovra da soli otto miliardi ricevendo circa quindici miliardi: meno di quanto abbiano ricevuto ora, ma senza obbligo di privatizzazioni, senza cessioni di sovranità, con più tempo a disposizione e con la probabile ristrutturazione del debito in caso di esito positivo delle riforme. Inoltre non avrebbero bloccato il paese per venti giorni (le banche chiuse, la mancanza di contante e le carte di credito scariche sono costate al paese finora circa 4 punti di PIL: e pensare che fino a maggio la Grecia cresceva più di Italia e Germania) e la BCE avrebbe continuato a fornire generosamente la liquidità necessaria.
Questo accordo, secondo la nostra opinione, aggraverà ulteriormente le comatose condizioni dell’economia greca, per due motivi differenti; in primis perché aiuti concentrati sulla concessione di nuovi prestiti sono tossici: molto più utile sarebbe stata la concessione di un “periodo di grazia” più o meno lungo senza rimborsi di interessi e debito, così da avere tempo e tranquillità per sistemare conti pubblici ed economia. In secundis perché si porta avanti la medesima idea di “aggiustamento strutturale” solo contabile propinata dalle istituzioni negli ultimi anni: tagli, privatizzazioni ed aumenti di tasse sono in alcuni casi sacrosanti, ma non in grado di rilanciare un’economia. Senza riforma del sistema bancario, della concorrenza, delle professioni, del pubblico impiego, del mercato armatoriale e dell’energia, senza l’implementazione di politiche per potenziare l’export ed attrarre capitali stranieri (e qui necessarie diventano la riforma del sistema giuridico e la lotta all’endemica evasione fiscale tipica di un fisco fallito) l’economia greca resterà al palo.
A conclusione di questo articolo una postilla: consideriamo persa da Tsipras la partita a scacchi cui facevo riferimento qualche mese fa, nella quale è capitolato, immolandosi sull’altare di un accordo migliore, anche il suo più importante alfiere, Yanis Varoufakis. Ha perso perché ha immaginato che un voto popolare potesse essere l’atout vincente per abbattere i creditori, ignorando che i creditori siano non una minoritaria congrega di usurai, ma 18 stati, 18 popoli del medesimo club in cui la Grecia si trova ed in cui le regole basilari delle votazioni, degli accordi e dei trattati si rispettano. Ciò non toglie che il governo greco si è dimostrato molto meno irresponsabile ed in mala fede (hanno fatto di tutto per evitare la Grexit, in accordo con le loro linee programmatiche, anche a costo di un dolorosissimo compromesso) di molti “rivoluzionari con la mobilia altrui” che in Italia prima supportavano Tsipras ed ora ne vorrebbero la testa su un piatto d’argento.