Nel vasto repertorio dei termini dialettali napoletani, uno dei più affascinanti e, allo stesso tempo, più intraducibili, è senz’altro la parola ‘nziria. Un termine che racchiude in sé un mondo di melodrammi quotidiani che solo chi è nato e cresciuto a Napoli può cogliere appieno nella sua essenza.
Ma che cos’è esattamente a ‘nziria? A ‘nziria è molto più di un semplice capriccio. In italiano, potrebbe essere descritta come una testardaggine capricciosa e ostinata, spesso del tutto immotivata e, talvolta molto fastidiosa. Non è però solo un capriccio innocente; a ‘nziria è carica di emozioni esagerate e melodrammatiche ed è quasi sempre accompagnata da lamenti insistenti e recriminazioni. Un misto di insoddisfazione e vittimismo anche se la causa reale di tutto questo malcontento spesso non esiste o è assolutamente irrilevante.
Un comportamento che può sfiorare il comico. Si manifesta spesso nei bambini, che si intestardiscono per ottenere quello che vogliono, ma anche negli adulti, quando qualcosa non va come previsto o si sentono contrariati senza un motivo reale. È una sorta di piccola “tragedia personale”, una sfida tra il capriccio e la ragionevolezza, talvolta chiamato ‘nzirione per sottolineare l’irrilevanza delle lamentele e delle “sofferenze”.
Naturalmente il tono melodrammatico è fondamentale: senza una buona dose di teatralità, a ‘nziria non avrebbe lo stesso impatto. Questo la distingue da altre forme di capriccio, più pacate e razionali.
Immaginate un bambino che, alla vista di un gelato, comincia a lamentarsi perché vuole assolutamente mangiarlo, anche se gli è stato appena detto di no. Le lacrime scendono a fiumi, i piedi battono a terra, smette di camminare e si fa trascinare, ogni tentativo di spiegazione cade nel vuoto. Insomma “piglia ‘a ‘nziria”, un capriccio che diventa arte drammatica, un piccolo grande spettacolo del quotidiano, dove il protagonista pretende non solo attenzione, ma anche compassione.
(foto da Pixabay generata dall’AI)