Il titolo di questo mio articolo è meno audace, ma mi auguro altrettanto provocante di quello del libro. “Gramsci è vivo”, edito dalla Rizzoli e scritto dal nuovo ministro della cultura, Alessandro Giuli.
L’esponente legato a Fratelli d’Italia e in particolare alla Meloni è subentrato al dimissionario Gennaro Sangiuliano, protagonista di una storia tormentata con l’imprenditrice Maria Rosaria Boccia e prima di diventare ministro ha diretto un importante Museo d’arte contemporanea, il Maxxi.
Giuli, dopo una lunga militanza nel movimento politico Meridiano Zero, che può essere considerato di destra estrema, se non proprio di matrice neo fascista, ha iniziato la carriera giornalistica in alcune testate locali e dal 1996 al 2001 ha collaborato con l’organo di stampa del PSDI, il quotidiano denominato l’Umanità.
Dal 2001 al 2003 è stato redattore del quotidiano Linea, poi è passato al Foglio di Giuliano Ferrara, dove è diventato professionista nel 2004, per poi esservi nominato prima vicedirettore nel 2008 e poi condirettore fino al 2017.
E’ stato anche conduttore di “Patria”, un programma televisivo trasgressivo, che aveva l’ardire di andare oltre la destra e la sinistra, ma sostanzialmente rimane un esponente del mondo dell’informazione, che rappresenta la nuova egemonia di destra. Ed è per questo che il suo libro di battaglia, il più conosciuto dei suoi, è quello nel nome di Antonio Gramsci, ed ha sorpreso non poco.
Il marketing di Giuli ha voluto un titolo un pochino trasformista, ma sostanzialmente il libro ha voluto riassumere il programma patriottico e post ideologico dell’attuale ministro. Gramsci è dipinto non tanto come comunista, ma come italiano, un vero e proprio emblema di “spirito del popolo”, sempre attento alla nazione e alla sua identità.
Giuli addirittura si avventura a dipingere un Gramsci distruttore del marxismo, perché, a suo giudizio, avrebbe superato le “categorie sociologiche” del filosofo tedesco in chiave moderna, per esaltare il ruolo della cultura e della comunicazione nella società dei suoi anni.
Antonio Gramsci è visto da Giuli come un altro Silvio Pellico, che si confessa italiano come Ippolito Nievo, e che può essere considerato un eroe nazional popolare, colto e teorico del popolo italiano.
Gramsci era un biografo culturale della nazione, intesa come radice di una nuova identità, ma sempre ben impiantata sulla liberazione delle classi subalterne, ingabbiate dall’unità censitaria e di classe liberale, che schiacciava il meridione e le campagne di tutta la penisola, avendo siglato un patto scellerato tra industria protezionista e ceto agrario. Gli operai erano condannati a ricevere bassi salari, e i contadini a sostenere una industrializzazione protetta dallo stato. I ceti medi erano in uno stato di totale sbandamento, costretti per lo più a cercare impieghi nello stato, mentre le classi subalterne miravano alla rivolta corporativa e populista.
Insomma Gramsci è apprezzato da Giuli come un comunista nazionale, che voleva una rivoluzione democratica e dei ceti subalterni. Il concetto di patria viene esaltato da Giuli anche nel contesto di una sinistra di massa organizzata e sentimentalmente connessa agli sfruttati, in grado di esercitarsi a gestire politica ed economia, in una società democratica e parlamentare, senza la distruzione dello stato.
Giuli evidenzia in Gramsci la distanza dal massimalismo messianico socialista e anche dalle suggestioni leniniste, che ebbe da giovane. Giuli contrappone in Gramsci la Rivoluzione imprevista all’ortodossia del marxiano Capitale, evidenziando le alleanze e i blocchi storici in conflitto.
Il filosofo italiano Antonio Gramsci, però nei Quaderni invitava ad analizzare, a progettare politica, piuttosto che a superare le categorie sociologiche, come invece scrive Giuli nel suo libro.
Nei periodi di crisi di rappresentanza politica Gramsci critica sia le soluzioni teatrali, che il populismo plebiscitario. Giuli la pensa completamente all’opposto, perché ritiene la proposta di riforma costituzionale del premierato, fortemente voluta dal governo di Giorgia Meloni, di cui adesso fa parte, in stretto collegamento alla sovranità, che come recita la Costituzione, risiede nel popolo.
Giuli dimentica che l’elezione diretta di una persona al ruolo di primo ministro è un pericoloso corollario, che si pone in contrasto con il gramscismo pluralista e particolareggiato, composto da poteri legali, associazioni e partiti, che il filosofo definiva come quadro costituente. Infatti nei testi, scritti da Gramsci prima di morire nel 1937, per mano del fascismo, si legge testualmente : “E’ la Costituente il fronte popolare”.
Alessandro Giuli ha voluto cimentarsi con Gramsci è vivo, in un’opera letteraria, in cui deliberatamente imita lo stile di un altro o di altri autori, un vero e proprio pastiche post ideologico, ma la sua ideologia, seppure nascosta, traspare nella coda del libro, ed è quella di una destra reazionaria classica.
Giuli nel libro dedicato a Gramsci, pur celebrando il filosofo Norberto Bobbio, prova a cancellare la capitale distinzione destra sinistra, e a costruire una dottrina post fascista, che si ponga “a sinistra della destra”, come lui stesso dice.