<em>Turchia – Si è concluso nella giornata di giovedì il maxiprocesso che ha visto imputate le centinaia di persone (475) che nel luglio 2016 presero parte al fallito tentativo di golpe messo in atto per rovesciare il governo di Recep Tayyip Erdoğan. Moltissime le pene all’ergastolo comminate, così come quelle di carcere duro (condanna che ha sostituto la pena di morte, abolita nel Paese dal 2004).
Tra gli imputati figurano moltissimi alti ufficiali e piloti di jet, accusati di aver bombardato il Parlamento e altri palazzi del potere. Tra i moltissimi capi d’accusa risultano anche quelli per “tentato assassinio al Presidente”, “Tentato rovesciamento dell’ordine costituzionale” e “Omicidio intenzionale”.
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Fra i condannati sono presenti inoltre anche 4 civili, tra i quali emerge la figura dell’uomo d’affari Kemal Batmaz, accusati di aver operato per conto dell’imam Fethullah Gülen, ideatore e fondatore insieme ad Erdogan del partito AKP, ma in aperto scontro con quest’ultimo per le diverse prospettive politiche. Le condanne si riferiscono in particolare agli eventi avvenuti nella base aerea di Akinci, dove secondo l’accusa fu organizzato il colpo di stato, uscirono i mezzi che si riversarono per le strade della città e furono tenuti in ostaggio per alcune ore militari di alto rango come il generale Huluisi Akar.
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Il fallito golpe del 15 luglio 2016
La notte del 15 luglio 2016, una parte delle forze armate turche tentarono di rovesciare il governo di Recep Tayyip Erdoğan e prendere il potere nel Paese. Sebbene moltissimi militari catturati e interrogati abbiano confessato di appartenere all’organizzazione FETÖ (Organizzazione del terrore gulenista), la paternità dell’atto non è mai stata rivendicata ufficialmente. Sulla vicenda aleggiano ancora moltissimi elementi di ambiguità, testimoniati anche dalle immagini trasmesse dalle reti televisive dove i carri armati venivano bloccati dalla folla scesa in strada e dove i militari che avrebbero dovuto eseguire azioni ben precise e programmate, sembravano avere invece molte incertezze e tentennamenti su cosa fare.
Mentre a caldo gli analisti interpretarono l’evento come l’ennesimo intervento delle forze armate turche per difendere i valori laici e l’eredità del Padre della Patria Ataturk, poche ore dopo il golpe terminava in un totale fallimento. Immediata fu l’accusa da parte di Erdogan a Fethullah Gülen, additato come ideatore e organizzatore del golpe. Quest’ultimo suggerì invece l’ipotesi secondo la quale il reale autore avrebbe potuto essere lo stesso Erdogan, che si sarebbe avvalso di un’operazione di false flag, così da poter legittimare restrizioni alle libertà civili ed epurazioni nel mondo militare, della giustizia, dell’insegnamento e dell’informazione.
Il fallito golpe causò la morte di 290 persone e il ferimento di oltre 1400. Gli arresti, secondo i dati ufficiali rilasciati dal Governo turco, furono 2893 e 2745 giudici vennero rimossi dai loro incarichi.
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La mano dura di Erdogan
A seguito del fallimento del golpe, il governo di Ankara, nel corso degli anni, ha attuato una vera e propria caccia alle streghe per catturare e condannare i responsabili dell’azione. Da parte delle Autorità governative sono stati portati avanti veri e propri attacchi mirati contro migliaia di oppositori, giornalisti, professori universitari e intellettuali, militari, giudici e gente comune uniti solamente dall’appartenenza reale o presunta alla rete del politologo e predicatore islamico Gülen.
Le accuse di Erdogan nel corso degli anni si sono focalizzate in particolare sulla tesi secondo cui i seguaci del FETÖ avrebbero cercato di creare uno “stato nello stato” infiltrandosi nei gangli più importanti dell’amministrazione e degli apparati statali così da poterlo rovesciare. Dal 2016 oltre 200mila persone sono state fermate, circa 100mila sonodetenute in carcere in attesa di giudizio e oltre 150mila dipendenti statali hanno perso il lavoro o sono stati rimossi dai loro incarichi.