Nati dall’ispirazione e dal lavoro di Ludovica Rambelli e Dora De Maio, lo spettacolo dei Tableaux Vivants di Caravaggio stupisce e affascina il pubblico da circa 14 anni, sia in Italia che in Europa.
Ospite attualmente del Complesso Monumentale Donnaregina di Napoli, i Tableaux Vivants di Caravaggio tornano in scena per un happening serale l’8 Marzo rappresentando anche le 7 opere della Misericordia.
I Tableaux hanno l’indiscusso fascino di una formula che va ben oltre il concetto (peraltro encomiabile) della visita teatralizzata la quale soddisfa le esigenze anche di un pubblico meno avvezzo alla frequentazione dei complessi museali, in un periodo storico in cui la visita guidata sembra ormai obsoleta e l’audioguida appare esclusivo appannaggio dei turisti. Qui l’evento si dispone sotto gli occhi dello spettatore mentre gli attori trasformano (o convertono per dirla con le parole della regista Rambelli) drappeggi di velluti, ciniglie e rasi dai colori contrastanti (come è nell’uso di Caravaggio) con i toni scuri da un lato e i rossi in opposizione, con un’unica luce che parte da destra a sinistra, dall’alto verso il basso affinchè i corpi non vengano illuminati ma liberino le particelle di luce che contengono.
A ciò si aggiunga la suggestione dell’illuminazione della chiesa, volutamente scarna, luce che sembra quasi sollevarsi in alcuni punti e le musiche (Mozart, Bach, Vivaldi, Sibellius), scelte con accuratezza e che si fondono perfettamente con i movimenti degli attori in scena (Andrea Fersula, Serena Ferone, Ivano Ilardi, Laura Lisanti, Chiara Kija, Antonella Mauro, Paolo Salvatore, Claudio Pisani). Sono loro, con la loro nudità scarna e cruda, a dare vita al quadro, interpreti e scenografia al tempo stesso, dunque quadro e cornice, il tutto sotto gli occhi del pubblico e in un lasso di tempo talmente breve da non poter essere calcolato. La Deposizione, il Narciso, la Resurrezione di Lazzaro sono solo alcune delle ben 23 tele messe in scena dalla compagnia; una menzione a parte meritano il Bacco e il Martirio di Sant’Orsola, che non deludono chi ha avuto la fortuna di osservare tali soggetti nella loro forma originaria.