La pericolosità sociale dei fenomeni di bullismo e, negli anni, con le sempre più raffinate tecnologie accessibili ai più e gli strumenti presenti in rete, di cyberbullismo, è un fatto acclarato.
Sono numerose, difatti, le attività di sensibilizzazione realizzate col fine di responsabilizzare i giovanissimi – che sono tra i soggetti più colpiti e, al contempo, tra quelli che più spesso mettono in atto i comportamenti che ne sono manifestazione – riguardo ad un tema che è di grande attualità, in considerazione della incontrollata proliferazione di episodi di prevaricazione, discriminazione e, purtroppo frequentemente, nei casi più delicati, anche di violenza.
Questo tipo di condotte, generalmente, vengono perpetrate dai loro autori in modo sistematico e reiterato, rendendo le vittime bersaglio ingiustificato di atteggiamenti aggressivi e sopraffattori e generando in esse un inevitabile senso di esclusione e inferiorità.
Bullismo, le diverse fattispecie di reato disciplinata del Codice penale
Nonostante vi siano stati, a fronte delle molteplici iniziative promosse allo scopo di disincentivare la diffusione di fatti di bullismo, considerevoli miglioramenti nel contesto della socialità (e nell’ambiente della scuola, che è quello ove maggiormente essi si verificano), vi sono delle situazioni che, per i profili assunti e la gravità, necessitano di essere inquadrate da un punto di vista anche giuridico.
Quando si parla di bullismo, inoltre, si fa riferimento ad una categoria eterogenea di condotte che non possono essere classificate secondo un univoco binario di interpretazione, motivo per il quale queste appaiono riconducibili a diverse fattispecie di reato disciplinate dal Codice penale. Gli episodi che più frequentemente sono rappresentazione di questo fenomeno, che lede anzitutto la personalità dell’individuo, sono quelli di aggressione fisica, potendosi, in essi, ravvisare i delitti di percosse (art. 581 c.p.), lesioni (art. 582 c.p.) o minaccia (art. 612 c.p.), oltre che a più sottili ed indirette forme di vessazione che potrebbero configurare un’ipotesi di diffamazione (art. 595 c.p.), per poi sfociare, nei casi più gravi, addirittura nei reati di stalking (art. 612 bis c.p.) ed istigazione al suicidio (art. 580 c.p., ove l’agente eserciti un’influenza determinante nel rafforzamento dell’idea o nella decisione, da parte della vittima, di compiere il tragico gesto).
E’ opportuno ricordare, a tal proposito, che, non potendo essere perseguiti penalmente i minori di anni 14, a rispondere dei comportamenti criminosi da questi posti in essere sono i genitori o chi ne ha la custodia, potendosi, nei loro confronti, provvedere solo per il tramite di misure di sicurezza allo scopo di dissuaderli dalla reiterazione della condotta e contenerne gli effetti, per quanto possibile.
Cyberbullismo, la risposta del legislatore
In aggiunta a quanto detto, sfortunatamente, se è vero, da un lato, che i progressi della tecnologia e della rete internet hanno agevolato e favorito il processo delle comunicazioni, è vero anche, dall’altro, che l’accesso generalizzato, anche ai più piccoli, agli strumenti con i quali avviene lo scambio di informazioni e condivisione di momenti – primi, fra tutti, i social network – ha dato vita ad una variante più sofisticata e silenziosa del fenomeno: il cyberbullismo.
L’insidia di questa derivazione più moderna del tradizionale bullismo risiede, difatti, nella facoltà, da parte del soggetto che agisce, di rimanere anonimo e, molto spesso, impunito, poiché le interazioni hanno luogo in una dimensione che è puramente virtuale, tenendolo, così, “al riparo” dalle conseguenze alle quali egli, in maniera inevitabile, andrebbe incontro se lo stesso comportamento lo assumesse nella vita reale. Ciò, purtroppo, ingenera nella vittima un senso di alienazione dovuto all’impossibilità di raggiungere e/o identificare il vessatore, che in questo modo continua ad agire indisturbato.
La risposta del legislatore allo scopo di arginare questo problema e di fornire, a chi lo affronta, adeguata tutela, si è tradotta nella legge n.71/2017, nella quale v’è una puntuale definizione dello stesso, dovendosi intendere, per cyberbullismo: “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.
Ricordando che la responsabilità penale è personale, i minori (al di sopra dei 14 anni) vengono in genere puniti con un’ammenda di 526 euro o con la reclusione fino a 6 mesi; per i maggiorenni, invece, le pene sono più gravi: si va da un minimo di 6 mesi fino a un massimo di 5 anni di reclusione, ai quali si aggiungono eventuali risarcimenti del danno procurato alla vittima in sede civile.
Bullismo e Cyberbullismo, è allarme sociale
I fatti di cronaca che, purtroppo, sono ormai all’ordine del giorno, confermano, infatti, che l’allarme sociale generato dalla diffusione di entrambi i fenomeni ha un saldo fondamento. Per questo motivo, è necessario proseguire con l’opera di sensibilizzazione e confidare nel senso di responsabilità dei giovani – e non solo – con la speranza di poter assistere a progressi concreti e ad una diminuzione tangibile degli atti di bullismo e cyberbullismo, anche con l’aiuto della legge.
(a cura dell’Avv. Michele Calvanico e della Dottoressa Martina Colucci)