Era una serata d’autunno e il piccolo bar di periferia, nascosto tra i vicoli di Napoli, era ormai quasi deserto. Il barista, stanco e disilluso, puliva meccanicamente i bicchieri mentre i soliti tre o quattro avventori occupavano i tavolini, circondati da una spessa nube di fumo di sigarette e dall’eco di storie raccontate che rimbalzavano tra le pareti. Tra loro Pasquale. Seduto con un boccale di birra tra le mani, scuoteva ripetutamente la testa mentre ascoltava le notizie alla radio. Parole di crisi, corruzione e promesse mancate; cose che si ripetevano oramai da troppo tempo come un disco rotto.
«Sempre la stessa storia!» borbottò Pasquale con grande amarezza. «Parlano, parlano, ma non fanno mai niente. È tutto un gran casino! Lo Stato è assente, le strade sono piene di buche, la gente non arriva a fine mese… e quelli là sopra, che fanno? Se ne stanno belli comodi sulle loro poltrone di pelle».
Accanto a lui, il vecchio Mario, seduto con il cappello logoro abbassato sugli occhi stanchi e segnati da rughe profonde. «Che vuoi farci, Pasquà?» rispose con un tono lento, come se ogni parola richiedesse uno sforzo immenso. «È sempre stato così. Oggi c’è uno, domani c’è l’altro. Ma alla fine sono tutti uguali. Promettono, promettono, e poi si dimenticano. E noi restiamo qui, ad aspettare».
Pasquale sbuffò. Si passò una mano tra i capelli scompigliati e bevve un altro sorso di birra. «Adda venì Baffone!» esclamò con più forza, come se quelle parole fossero una preghiera lanciata contro il cielo.
Un silenzio improvviso scese nel bar. Il barista smise di pulire i bicchieri e alzò lo sguardo verso Pasquale, senza dire nulla. Gli altri avventori si scambiarono occhiate veloci. Tutti avevano lo stesso desiderio, quello che arrivasse qualcuno, chiunque, in grado di mettere ordine nel caos, di spazzare via corruzione e disonestà. Un uomo forte, giusto, che non si piegasse alle logiche del potere.
Mario sorrise amaramente. «Eh, Pasquà… Si aspetta sempre ‘sto Baffone. Ma non viene mai. Magari siamo noi che dobbiamo fare qualcosa, ti pare?» disse, fissando il bicchiere come se cercasse una risposta nel fondo del liquido ambrato.
Pasquale scosse la testa, senza riuscire a trovare le parole giuste. Dentro di sé sapeva che Mario aveva ragione. Aspettare che qualcun altro facesse ordine era più facile che agire. Ma in cuor suo, forse per stanchezza, forse per paura, voleva credere che un giorno qualcuno, un uomo forte e incorruttibile, sarebbe venuto a mettere fine a troppe ingiustizie. La frase “Adda venì Baffone” continuava a risuonargli in mente come un mantra, l’ultima fiammella di speranza per chi si sentiva ormai impotente di fronte a un sistema troppo grande da combattere.
Intanto, fuori, la pioggia aveva iniziato a cadere con forza rimbombando sui basoli con un ritmo frenetico, quasi a voler scuotere la città dal suo torpore. I boccali sui tavoli erano ormai vuoti, come se anche l’ultima goccia di pazienza fosse stata consumata. Le luci tremolanti dei lampioni illuminavano debolmente le strade deserte, mentre Napoli, indifferente e sorda, continuava a respirare il suo caos. La città sembrava galleggiare, sospesa in un’attesa eterna, come se aspettasse anch’essa un miracolo, un segno, qualcosa che potesse cambiare tutto.
Ma dove sarà finito quel Baffone che tutti invocano e che nessuno vede mai arrivare?
(di Maria Pia Nocerino)