Non c’è stata l’opportunità di vedere Mare di Ruggine a teatro, ma mi è stata data l’occasione di leggerne il libro, presentato lunedì 19 al Circolo Ilva di Bagnoli.
Sì! Lo spettacolo teatrale Mare di Ruggine si trasforma in un libro illustrato, tramutando in disegno una favola che favola non è. L’autore, Antimo Casertano, supportato dalle illustrazioni di Ada Natale, racconta cosa ha rappresentato per la sua famiglia l’ILVA di Bagnoli (e successivamente Italsider) nella storia industriale di Napoli e del Mezzogiorno, simboleggiando sia un orgoglio produttivo sia una speranza di riscatto dopo la Seconda Guerra Mondiale. È stata, per oltre un secolo, un fulcro di sviluppo industriale: offriva lavoro e sosteneva l’economia locale, ma era anche luogo di grande inquinamento e, infine, di morte. Alla presentazione, insieme ad Antimo Casertano e Ada Natale, era presente anche il cast teatrale dell’opera. Numerosi gli interventi del pubblico, con testimonianze di ex operai. Di rilievo l’intervento dell’attore Patrizio Rispo. A moderare l’incontro, il professor Giulio Baffi.
Testimonianze ascoltate
“Una favola nera e necessaria”
C’è un momento, nello spettacolo Mare di Ruggine, in cui il racconto smette di essere solo narrazione teatrale e si fa voce collettiva. Una voce che parla di uomini e donne dimenticati, di tute blu e mani bruciate, di silenzi mai risarciti. È in quel momento che si capisce: siamo davanti a qualcosa di più di una messinscena. Siamo dentro una storia sociale che ci riguarda tutti, scritta con l’inchiostro della memoria e della ruggine.
“Un teatro che scava”
Antimo Casertano firma testo e regia di un’opera che scava nel passato industriale dell’ex ILVA di Bagnoli, ma lo fa con lo sguardo di chi sa che il passato non è mai solo passato. Mare di Ruggine è un atto d’amore per una Napoli che ha sperato nell’acciaio e ne è stata consumata, ma è anche un’indagine sulla dignità operaia, sulla trasmissione del dolore e sulla responsabilità del ricordare.
“Una favola come chiave di verità”
Il racconto si struttura come una favola “che favola non è”, in cui un padre narra al figlio una storia familiare che attraversa cinque generazioni, incrociando guerra, lavoro, malattia e resistenza. Una scelta narrativa semplice ma potentissima: la favola, in fondo, è il modo più antico per tramandare ciò che la Storia ufficiale non sa o non vuole dire.
“Corpi in scena, comunità in memoria”
Gli attori in scena – tra cui spiccano le intense interpretazioni di Daniela Ioia e dello stesso Casertano – non danno solo vita a dei personaggi: incarnano presenze. Diventano corpo e voce di quei lavoratori che l’industria ha glorificato e poi abbandonato. La scenografia è scarna, metallica, fatta di oggetti concreti e simbolici, mentre le musiche originali di Paky Di Maio sostengono l’emozione senza sovraccaricarla.
“Il lavoro come racconto mancato”
In un Paese che ha dimenticato cosa abbia significato davvero il lavoro industriale – cosa ha tolto, cosa ha dato, cosa ha chiesto – Mare di Ruggine riporta alla luce una storia di sacrificio e speranza, di ferite ancora aperte. L’ex Italsider non è solo un luogo: è un fantasma che abita le periferie del Sud, una promessa infranta, una ferita collettiva che il teatro riesce, per un’ora, a rendere visibile.
“Teatro civile? No, teatro umano”
Casertano non cade mai nella retorica del “teatro civile” che denuncia per dovere. Qui si denuncia per amore: amore per la gente semplice, per una Napoli ferita e fiera, per una verità che non trova spazio nei palinsesti. Il risultato è un teatro umano, commovente, onesto, che ci obbliga a guardare dove spesso distogliamo lo sguardo.
La mia riflessione
Mare di Ruggine non è solo uno spettacolo, e tanto meno solo un libro: è una domanda lasciata in sospeso, un’invocazione di giustizia sociale in forma di racconto. È memoria che si fa scena, e scena che torna a essere coscienza.