1470 – Per affermare e confermare il suo potere in città, il Principe di Sanseverino compra dei terreni adibiti ad orti e giardini, dando, così, il via alla sistemazione e conformazione di uno dei “luoghi” più importanti di Napoli.
Egli vuole che il suo nuovo Palazzo si erga maestoso per poter godere della vista magnifica e soprattutto desidera che il Re dalla parte più bassa della città abbia ben presente quanto sia importante la famiglia Sanseverino a Napoli.
Incaricato del progetto è l’architetto Novello da San Lucano che si avvale, per la costruzione, degli artigiani del tempo: i Mast’ e pret, intagliatori ormai organizzati in confraternite artigiane che nel XV secoli lavoravano molto in quanto abili nella lavorazione della pietra dura qual’è il piperno che aveva ormai sostituito il più morbido tufo in diversi utilizzi.
Sono proprio i Mast’ e pret’ a decidere sull’esatta posizione della “fabbrica”, proprio loro che, capacissimi nel percepire la giusta energia, sanno bene anche come tenere a bada le anime degli inferi appagandole con delle monete poste negli scavi, affinchè il palazzo, inteso come residenza, ben accolga e protegga; ma così non va.
I Sanseverino vengono cacciati via da Napoli e il palazzo “comprato a buon prezzo” dall’ordine dei Gesuiti.
E’ la Principessa Isabella della Rovere a finanziare i lavori, cosicchè nel 1570 la Chiesa del Gesù Nuovo, apre al pubblico e nel 1601 la stessa viene consacrata alla Madonna dell’Immacolata al cui interno è dedicato l’altare maggiore, che, in netta contrapposizione con l’austerità della facciata, è un vero e proprio inno al barocco.
Nel tempo sono tanti gli architetti e gli artisti che vi lasciano la propria impronta; tra questi Cosimo Fanzago che si occupa delle cappelle e, meritevole di aver compiuto un capolavoro, il pittore Francesco Solimena che si occupa dell’affresco della controfacciata: “La cacciata di Eliodoro dal tempio” opera in cui l’architettura fa da scenografia ai protagonisti della scena, esaltandone la teatralità.
Nonostante tale opulenza di opere, di dettagli, di ricchezza dei materiali, il pensiero spesso si allontana dal già visto, da ciò che ci si aspetta di vedere, per tornare fuori, alla facciata che è stata rappresentata finanche sulle vecchie banconote da 10.000 lire.
Quelle infinite punte di diamante attraggono, evocano, forse storie ancora da svelare, storie di uomini che i libri non hanno mai annoverato per grandezza o conoscenza, o che proprio la storia ha voluto mostrarci soltanto sotto certi aspetti; uomini che hanno preservato i loro codici, le loro tradizioni, soprattutto i loro segreti in un modo così ermetico e sapiente da risultare ancora oggi poco comprensibili; su quelle punte sono impresse, si pensa, le lettere dell’alfabeto aramaico (la lingua usata da Gesù), ma la lettura risulta ancora poco chiara poichè ad esse si aggiunge qualche simbolo dell’alfabeto fenicio, dunque, forse, non soltanto simbolo di appartenenza delle diverse maestranze.