L’idea che avere un bambino sia un dovere è stata storicamente legata a visioni tradizionali della famiglia e della società, ma nel mondo contemporaneo, una tale affermazione appare sempre più controversa. Il concetto di “dovere” porta con sé una nozione di obbligo, spesso imposta da norme culturali o religiose, che tende a vincolare l’autonomia individuale. Tuttavia, la scelta di avere un figlio dovrebbe essere profondamente personale, dettata non da pressioni esterne, ma da un desiderio intimo e consapevole.
In molte società, specialmente in passato, la procreazione è stata vista come un imperativo per garantire la continuità della famiglia e della comunità. Le donne, in particolare, sono state tradizionalmente spinte verso la maternità come loro principale ruolo e contributo alla società. Anche oggi, in contesti più moderni e progressisti, possono persistere pressioni sottili o esplicite verso chi non ha figli, come se questa fosse una scelta “incompleta” o “insoddisfacente”.
Ma la realtà è che molte persone, per ragioni personali, economiche, o di altro tipo, scelgono di non avere figli. La maternità e la paternità sono esperienze meravigliose per chi le desidera, ma diventano potenzialmente problematiche e insostenibili se imposte a chi non si sente pronto o disposto a dedicarsi a questo compito.
Che cosa s’intende per “maternità surrogata”?
In parallelo a questo dibattito, un’altra questione che ha suscitato forti reazioni negli ultimi anni è quella della maternità surrogata. Essa rappresenta un’opzione per coppie o individui che, per varie ragioni, non possono avere figli biologici. Si tratta di una pratica che coinvolge una donna che porta avanti una gravidanza per conto di qualcun altro, un tema che tocca etica, diritti umani e visioni della genitorialità.
Da una parte, la maternità surrogata offre a molte persone, comprese coppie omosessuali o individui single, la possibilità di diventare genitori in un mondo in cui la biologia non sempre lo permette. Ma è davvero necessario? In certi Stati (come negli USA) in cui la surrogacy è legalmente regolamentata, le donne surrogate possono ricevere un compenso per il loro “servizio”, il che solleva dubbi etici su come questa pratica possa sfruttare economicamente donne in situazioni di vulnerabilità. C’è chi sostiene che la maternità surrogata, rischi di diventare una nuova forma di sfruttamento e mercificazione delle donne.
Nel contesto della surrogacy, la donna è spesso vista solo come un “contenitore” per la gravidanza, privandola del suo ruolo di madre e riducendo la sua esperienza di gestazione a un servizio. Il concepimento è un atto di vita, che non può essere ridotto a una dimensione utilitaristica.
Un figlio: una scelta o un diritto?
Un’altra questione cruciale riguarda l’impatto psicologico sulla donna che porta avanti la gravidanza e sul bambino nato attraverso la maternità surrogata. La gravidanza non è un processo puramente biologico: implica un forte legame emotivo tra la madre e il bambino. La donna surrogata potrebbe trovarsi, al termine della gestazione, a dover separarsi dal neonato, un momento che può causare dolore e trauma emotivo, soprattutto se si è instaurato un legame affettivo durante i mesi di gravidanza.
Inoltre, è lecito chiedersi quali siano le conseguenze psicologiche per il bambino stesso. Che impatto può avere crescere sapendo di essere stato concepito attraverso una transazione commerciale? Quali saranno le domande sul proprio diritto di essere amato e voluto, al di là delle questioni economiche? In un contesto in cui la genitorialità è una scelta basata su amore e cura, questo aspetto non può essere trascurato.
Dichiarare la maternità surrogata un reato universale, come ha fatto l’Italia, significa affermare che l’essere umano, sia esso la madre surrogata o il bambino, non può essere ridotto a merce o oggetto di contrattazione. La dignità della persona deve essere al centro di ogni decisione riguardante la procreazione. E quando si tratta di maternità surrogata, la dignità delle donne coinvolte rischia di essere minata, così come il principio fondamentale secondo cui un figlio non dovrebbe mai essere il frutto di un accordo economico.