Si intitola “Il canto della dervisha” la mostra di opere polimateriche il cui allestimento porta la firma di Bruno Garofalo
Karima Campanelli racconta, in questa mostra che ha aperto il 12 agosto e resterà visitabile fino al 4 settembre, un universo culturalmente ancora lontano da noi ma sempre più prossimo fisicamente.
Il Medio Oriente e la sua cultura sono per lei il senso, non la maniera. In ogni opera c’è ciò che appare in origine, anche agli occhi del profano: c’è la Parola, il logos, il pensiero, la preghiera.
La versatilità dei materiali, la tecnica che ne fa delle opere polimateriche produce un effetto tridimensionale. La mostra è organizzata per temi cromatici fatta eccezione per due blocchi: il primo è quello dei tappeti di preghiera, l’altro è dedicato ai migranti. In esso, grazie agli occhi di questa artista, i visitatori hanno potuto scorgere il contorto labirinto attraverso il quale gli uomini giungono al loro appuntamento, le barche incrostate che stanno per prendere il largo con a bordo il loro carico di esistenze, di storie; la meta del viaggio, il momento drammatico in cui all’uomo viene chiesto di leggere la presenza di Dio intorno a lui mentre l’orrore del naufragio si compie e, infine, la serenità dell’elemento mare che torna, imperturbabile, ad essere ciò che è, dopo aver accolto un tributo di vite che non aveva richiesto.
Eppure le opere teofaniche della Campanelli non danno ansia, come ha saggiamente notato Giulio Baffi, ma risvegliano sicuramente curiosità all’ occhio del profano, quasi
rasserenate da un sapere lieve e misterioso, da un’armonia interiore
Non c’è un progetto dietro i suoi quadri, ci ha spiegato Karima Campanelli, perchè è grazie alla preghiera, alla quale si accosta prima di iniziare a dipingere (oltre alla preghiera canonica 5 volte al giorno), che la sua visione mistica e spirituale prende forma, fino a diventare poi -grazie all’opera delle sue mani- messaggio per chi le osserva.