Madama Butterfly al Carlo Felice: Maria Teresa Leva convince e strappa consensi tra il pubblico


Il Teatro  Carlo Felice di Genova con  “Madama Butterfly” ha richiamato un folto pubblico di spettatori. Un’opera che avvolge nella spirale dell’amore cieco, quello che fa battere forte il cuore ma ottenebra la ragione, che accende i riflettori sulla passione senza via d’uscita della piccola Cio-Cio-San e sulla viltà dello spavaldo Pinkerton, ufficiale della Marina degli Stati Uniti. Un’opera che mette uno davanti all’altro due mondi, con tradizioni e storie diverse: l’occidente e il Sol Levante.

Butterfly è una delle eroine “classiche” della lirica alle quali il pubblico non rinuncia mai.

Nell’estate del 1900 Puccini assistette a Londra alla rappresentazione del dramma Madama Butterfly che David Belasco (volpe astuta del teatro americano) aveva tratto da una novella di John Luther Long. Non parlando inglese, non capì una parola, ma uscì da teatro ugualmente scosso: la tragica storia della giovane geisha giapponese che si uccide «con onore» dopo essersi consumata nell’attesa che ritorni da lei lo sbruffone tenente della marina americana Pinkerton, che l’ha sposata per gioco e le ha dato un figlio, non poteva essere più pucciniana. Cio-cio-san come Manon, Tosca, Liù, Mimì: donne che amano e che, amando senza riserve, muoiono.

In Madama Butterfly Puccini fece ricorso alla sua capacità stregonesca di trasformare in “pucciniano” tutto ciò su cui metteva le mani: le scale pentatoniche giapponesi, l’inno della marina americana, le armonie modali alludenti a un mondo musicale lontano, sfumato e arcaico, i richiami al Tristano. Eppure, nonostante l’emotività della vicenda e il fascino della partitura, la prima milanese (Teatro alla Scala, il 17 febbraio 1904) fu un fiasco, uno dei più memorabili della storia dell’opera insieme a quello della Traviata di Verdi. Ma aveva ragione Giovanni Pascoli quando, in una cartolina inviata a Puccini dopo la disastrosa recita scaligera, profetizzò: la «farfallina volerà».

Il Teatro Carlo Felice propone Madama Butterfly nell’allestimento del Teatro Astana Opera andato in scena nell’aprile 2016 con  le scene di Ezio Frigerio, maestro della scenografia di fama mondiale, e i costumi del Premio Oscar Franca Squarciapin.

Maria Teresa Leva  ovvero Butterfly, ha offerto una prestazione in crescendo, con un buon finale. Il pubblico ha comunque riservato grandi applausi anche tutti gli altri componenti del cast.

Il primo atto ha schierato una corposa compagnia di canto, A dipingere il colore giapponese dell’ambientazione, sulla collina di Nagasaki: con sensale Goro , il Commissario imperiale, l’Ufficiale del registro , la madre di Cio-Cio San , la zia, la cugina, Yakusidé , protagonista di unno stacchetto da ubriaco, dai risvolti comici, e lo zio Bonzo  che con la sua solenne indignazione ripudia la giovane Cio-Cio-San, rea di sposare un Occidentale e di voler abbracciare anche la sua religione. Nel secondo, alla popolosa famiglia di Butterfly sono subentrati il pretendente Yamadori  e la vera moglie di Pinkerton, Kate.

Sensuali e fascinosi giochi di trasparenze avvolgono ad esempio il duetto d’amore, quando Butterfly viene svestita da Suzuki dietro un luminoso paravento, nell’eleganza di una recitazione in cui i due amanti, a lungo, quasi neppure si sfiorano. L’entrata in scena di Butterfly con in braccio il bimbo avuto da Pinkerton accende un’esplosione orchestrale indimenticabile, come poi annuncio del ritorno della nave, la Abramo Lincoln, un’emozionante avanzata di rosa e bianco, in un tripudio di fiori, che diventano rosso sangue nella scena finale.

La psicologia dei personaggi è stata costruita su movimenti e sguardi che hanno lavorato sulla finezza, sull’efficacia della semplicità.

La vicenda si basa su un’usanza purtroppo vera e comune nei prime decenni in cui il Giappone, alla fine dell’Ottocento, si apriva gradatamente al contatto con gli occidentali. Davvero si potevano contrarre dei matrimoni a tempo, finte legalizzazioni di rapporti amorosi. Di qui la tragica vicenda: lo yankee Pinkerton, tenente della Marina americana, sposa a tempo la geisha Cio-Cio-San, che invece lo ama con innocente, illusa passione, la lascia, promettendole un improbabile ritorno, e quando infine ritorna, con una vera sposa americana, non ha neppure il coraggio di presentarsi per reclamare il figlio avuto insieme. Così la geisha, disperata, si uccide.

È uno stridore di sentimenti opposti, la spensieratezza del bambino e la più cupa disperazione di sua madre, solo lievemente tratteggiati, in maniera quasi volutamente distaccata. Cio-Cio-San rimane poi da sola, si rivolge a un figlio già defilatosi dietro le quinte, la cui presenza è evocata solo nelle parole del suo ultimo disperato canto. Lontani anni luce i due universi contrapposti di Madama Butterfly e Pinkerton , è una distanza anche fisica quella tra i due personaggi, quasi mai sono vicini in scena, ad eccezione del finale del primo atto quando il libretto rende impossibile mantenerli ai capi opposti del palcoscenico. Ciò che nel complesso emerge da queste scelte registiche è una rappresentazione che chiede allo spettatore uno sforzo per andare a cercare le emozioni dei protagonisti, celate nel loro intimo, dietro ad un distacco che però rischia di essere percepito come freddezza o assenza di partecipazione emotiva nello svolgersi della vicenda.

Nel primo atto appare in alto, centrale, terribile lo zio bonzo, che manda anatemi alla sposina e porta via tutti i parenti dalla festa nuziale. Nel secondo atto i pannelli bianchi si colorano ancora e appare la baia di Nagasaki come in una stampa d’epoca, con i velieri alla fonda, quando Butterfly scruta il mare. Immagini che spariscono nei momenti drammatici, pannelli che tornano bianchi. Davanti al bimbo bendato (“Tu, piccolo Iddio…”) si consuma il dramma, sul futon bianco, dove Butterfly, il kimono anch’esso bianco con fascia rossa in vita, col coltello da harakiri del padre si taglia la gola. Sul richiamo (“Butterfly !”) di Pinkerton pentito si chiude il sipario. E il pubblico si apre all’applauso.

 

 

Giacomo Puccini

Direttore d’Orchestra, Giuseppe Acquaviva
Regia, Lorenzo Amato
Scene, Ezio Frigerio
Costumi,  Franca Squarciapino
Assistente alla regia, Paolo Vettori

Allestimento Teatro Astana Opera

Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice
Maestro del Coro Francesco Aliberti

Personaggi e interpreti principali

Cio-cio-san, Maria Teresa Leva, Keri Alkema (15-18-20)
Suzuki, Raffaella Lupinacci, Carlotta Vichi (15-18-20)
F.B. Pinkerton,  Stefan Pop, Ragaa El Din (15-18-20)
Sharpless, Stefano Antonucci, Sundet Baigozhin (15-18-20)
Goro, Didier Pieri
Lo zio Bonzo, John Paul Huckle

 

Patrizia Gallina

(Foto di Marcello Orselli)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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