Due giorni fa Giulia Caminito, autrice del romanzo “L’acqua del lago non è mai dolce” edito da Bompiani, ha vinto il Premio Campiello 2021. Nei giorni scorsi, durante gli ultiimi giorni di vacanza, ho letto un altro Premio Campiello. Si tratta di“Accabadora” di Michela Murgia, edito da Einaudi, Premio Campiello 2010.
Accabadora” di Michela Murgia, Premio Campiello 2010
La vecchia tzia Bonaria Urrai prende con sé la piccola Maria, una bimba di sei anni, quarta figlia di una donna che se ne libera con una certa disinvoltura dal momento che non riesce a mantenerla. Maria diventa una Fillus de anima, ovvero una bambina con due madri, una madre naturale e un’altra che pensa alla sua crescita.
Fillus de anima. E’ così che li chiamano i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un’altra. Di quel secondo parto era figlia Maria Listru, frutto tardivo dell’anima di Bonaria Urrai.
Tzia Bonaria Urrai ha qualcosa di misterioso ed inquietante. Spesso esce di notte senza dare nessuna spiegazione delle sue sortite. Nel crescere però Maria inizia a capire e la scoperta di un tragico evento divide le due donne. Maria decide di allontanarsi dalla casa adottiva e va a Torino, ma è costretta a tornare e a fare i conti con il suo destino. Suo malgrado Maria capirà che nella vita la distinzione tra giusto e sbagliato non è sempre così netta.
– Dove siete stata stanotte?
Il silenzio si prese la risposta, e Bonaria non ritenne di doverlo infrangere. Rimase con gli occhi al camino, fissi sulla fuliggine dei tronchi consumati da un inverno più freddo del consueto. Per Maria fu come un discorso intero.
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Recensione
“Accabadora” è un romanzo affascinante e struggente. Pur essendo breve (poco più di 160 pagine) è un romanzo che non lascia indifferenti per i temi trattati, ma anche e soprattutto per la potenza della scrittura della Murgia. Una scrittura intensa ed evocativa capace di creare atmosfere al limite tra scabrose ed umane.
Le colpe come le persone iniziano ad esistere se qualcuno se ne accorge
Il libro apre gli occhi al lettore su un tipo di società che aveva un suo segreto equilibrio, un sistema arcaico fatto di leggi non scritte, di veti e di precetti. Al tempo delle vicende narrate (Sardegna, Anni ’50), la figura dell’accabadora era parte della comunità e tutti, in caso di necessità, si rivolgevano a lei senza troppi “se” e troppi “ma”:
Nell’ora della debolezza alcuni preferiscono diventare credenti piuttosto che forti.
Unico neo di questo romanzo: i capitoli dedicati alla permanenza di Maria a Torino. A mio avviso si potevano anche evitare. Abbassano i toni stilistici e non sono essenziali alla narrazione.
“Non dire mai: di quest’acqua io non ne bevo. Potresti trovarti nella tinozza senza manco sapere come ci sei entrata”
Con Accabadora l’autrice ha vinto la sezione narrativa del Premio Dessì, il SuperMondello (il riconoscimento più importante del Premio Mondello) e il Premio Campiello.