Letti sfatti: Live in The Kitchen

Al Nuovo Teatro San Carluccio Letti Sfatti, special guest Fausto Mesolella

L’ idea è interessante, il connubio tra buona musica e buon cibo non ha mai deluso nessuno. Così Letti sfatti (Gennaro Romano e Mirko Del Gaudio) invitano nella loro cucina ideale, fatta di commistioni e di esperimenti ben riusciti (alla stregua dei grandi chefs), il gourmet  Fausto Mesolella per quattro serate, dal 9 al 12 aprile c.a., presso il Nuovo San Carluccio.

Disponibili e spiritosi, danno appuntamento alla stampa prima del concerto per delle gustose interviste.

-Letti sfatti, vi riconoscete più nella definizione rock band di provincia o rock band d’autore?

In realtà abbiamo cercato di mettere insieme le due cose: il nostro amore per la musica rock e quello per la canzone d’autore, anche se il nostro riferimento più prossimo, più vicino è stato questo signore (indica Fausto Mesolella, ndr) che, con gli Avion Travel è riuscito a fare proprio questo, cioè mettere insieme un certo modo di suonare la chitarra e di pensare la musica, con il patrimonio della canzone d’autore, prettamente italiano. Siamo onorati stasera di confrontarci con un territorio che ci accomuna.

-Come avviene l’ incontro tra Letti sfatti e Piero Ciampi?

 

Attraverso un disco di Gino Paoli che -abbiamo scoperto solo dopo- era stato dedicato a Piero Ciampi. Da qui abbiamo  cercato le versioni originali e abbiamo scoperto questo autore misconosciuto ai più, e un pò folle come noi. Uno dei più veri cantautori italiani, del quale ci siamo innamorati.

-Secondo voi che cosa ha trasmesso il vostro brano “Giungla” agli studenti di Yale?

Tutto è cominciato con la nostra partecipazione ad una retrospettiva sul Sessantotto organizzata dalla Federico II con questo brano, in cui si fa un confronto tra l’ impegno politico dei giovani d’allora e le posizioni dei ragazzi di oggi; divenuto oggetto di studio per un corso all’ Università di Yale (insieme a “Vorrei vedere il Papa”), ci è stato poi riferito che molti studenti si sono stupiti del fatto che un gruppo italiano trattasse queste tematiche. E’ stato un bell’ incontro, anche se a distanza.

-Come nasce questa collaborazione per Live in the Kitchen con Fausto Mesolella ?

Ci siamo incrociati spesso grazie alla manifestazione dedicata a Bianca d’ Aponte, di cui Fausto è direttore artistico; quando gli abbiamo proposto questo progetto lui si è reso subito disponibile e noi siamo onorati di questo, perché lui è un grosso riferimento per noi.

-Perchè “Live in the kitchen” ?

La batteria è composta di attrezzi da cucina, pazientemente ricercati da Mirko (Del Gaudio, ndr): pentole, pentolini, coltelli da cucina; il nome dello show parte da queste sonorità. Un live eseguito come se fossimo in cucina.

-Fausto Mesolella: è più importante la tecnica o la contaminazione nella musica?

La contaminazione, senza dubbio! La tecnica serve dopo, alla fine del percorso per sistemare ciò che hai creato; bisogna prima creare e poi avere il senso tecnico di ciò che si è fatto. Perché se si parte dalla tecnica, si perde la sincronizzazione con il cuore, almeno questo vale per me, che in questi giorni festeggio 50 anni di chitarra senza tecnica.

-Come nasce la collaborazione con Stefano Benni ?

 

Da uno spettacolo intitolato “Ci manca Totò”, basato su una poesia scritta da Benni e che abbiamo portato in teatro per due anni. Il confronto tra un musicista ed un poeta è sempre difficile perché entrambi stanno con la testa in aria, ma dalla stima che ho per Stefano, che io considero uno dei più grandi scrittori italiani, è nato un affetto profondo. Ci siamo conosciuti a casa di Dario Fo, nel suo agriturismo in Umbria (Libera Università di Alcatraz) che è una grande fucina di contaminazione tra artisti; in quell’ occasione, ci ritrovammo lui a leggere le sue poesie, io a suonare la mia chitarra. Lo spettacolo nasce da questo nucleo. Va detto che io sono restato folgorato da alcune sue poesie,  che lui mi ha donato, e tra queste ce n’è una, assolutamente inedita,  che fu scritta per Fabrizio De Andrè intitolata “Quello che non voglio”. Mi ha chiesto di musicarla, e da qui scaturisce un altro progetto, quel lavoro discografico che uscirà il 22 aprile c.a. intitolato “CantoStefano“.

-Come inizia la sua collaborazione con il Premio Bianca d’ Aponte ?

Con la stessa Bianca, con la quale mi incontravo, insieme a suo padre, per ascoltare la sua musica e darle qualche dritta, dall’  alto della mia inutile sapienza. Poi è successo il dramma che sappiamo: giovanissima, Bianca scompare per una malattia alla vigilia del suo primo contratto discografico. I genitori cercavano un modo per dare continuità alla sua musica, e a me venne in mente di creare un premio per sole donne. Dissi loro “in questo modo, ogni anno vostra figlia vi verrà a trovare!” e così è stato, così è da almeno dieci anni per questo festival che raccoglie anche consensi internazionali, visto che quest’ anno c’è stato il Premio Bianca d’ Aponte International a Barcellona, dove artisti provenienti da tutta Europa hanno cantato le canzoni di Bianca nella loro lingua.

-Da questa splendida cucina, può partire un progetto discografico?

Non so se è stato mai fatto, in genere in cucina si mangia (Jennà)! Si, ma noi suoniamo in cucina (Mirko)! Più che un progetto discografico, parlerei di un progetto di vita, di anime, di contaminazione che resta la cosa più importante. Siamo artisti che si contaminano, nel mio piccolo crescere ho sempre incontrato gli altri, visto che un chitarrista nasce per accompagnare gli altri, per suonare serenate alle donne; la chitarra nasce per familiarizzare, ecco perché spesso la tecnica porta al solismo. Nessun musicista dovrebbe mai sentirsi solo. Via la tecnica, si alla contaminazione e cercare di “rubare” quanto più possibile dagli altri, rubare artisticamente la sintesi che l’ altro ha costruito (Fausto).

-Chiediamo a tutti e tre: è vero che la musica si fa sotto il palco?

Si (Letti sfatti); l’ unica volta che si fa sopra il palco è la festa di piazza, che Dio le benedica! Un’ occasione per imparare il mestiere, come  battesimi, comunioni e matrimoni. Solo dopo, verso i 60-70 anni, ci si può iscrivere al Conservatorio per capire che cosa si è fatto nella musica! (Fausto)

Un’ intervista piena di sincera ironia, di risate e del profumo della buona musica.

locandina Live in the Kitchen
locandina Live in the Kitchen

 

batteria Mirko Del Gaudio
batteria Mirko Del Gaudio
photo: fonte web

 

 

 

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