Keniani e Ugali


“I maestri della corsa”, così possiamo definire i keniani, corridori instancabili e difficili da battere. Numerose sono le teorie che sottolineano cosa sia in grado di incidere sulle loro straordinarire capacità di runners. Sicuramente incidono:

  • la genetica: presentano gambe lunghe, fisicità longilinee e una percentuale di grasso molto bassa;
  • l’ambiente in cui vivono: anche la latitudine e l’altitudine, oltre al minor inquinamento garantirebbe una maggiore capacità di “conservare” l’ossigeno disponibile (è un teoria!);
  • la dieta, tendenzialmente con prodotti locali e a km 0;
  • le pratiche di iniziazione che ricevono già da piccoli in cui imparano a gestire e tollerare il dolore, fatto che garantirebbe la resistenza.

Keniani, più allenamenti durante il giorno

Gli atleti keniani sono in grado di correre molti chilometri anche in virtù del fatto che le loro gambe sono il principale mezzo di trasporto, mangiano in modo equilibrato e gestiscono le ore di alimentazione e di digiuno anche per gli allenamenti.

Sì, perchè si allenano anche 3-4 volte in una giornata, e il primo allenamento lo fanno a digiuno. Questo per stimolare la resistenza quando a fine corsa le riserve di zucchero sono pressoché esaurite.

“Ugali”. Di cosa si tratta?

Dal mio punto di vista è interessante considerare l’aspetto alimentare. La dieta di questi corridori è varia, basata principalmente su quello che trovano nel proprio orto. Difficilmente si trovano catene di grande distribuzione alimentare, e seppure presenti, il vero runner tende a mangiare “cose di casa”.

Non è un mistero che essendo per lo più pastori si nutrano di carni e di latte, ma la cosa interessante è l’utilizzo dei carboidrati: pasta, riso, farinacei sono presenti quotidianamente e correttamente distribuiti.

Inoltre la preparazione del pranzo e della cena prevede sempre piatto unico. E’ su uno di questi che vorrei soffermarmi: l’ugali.

Io non ho avuto la fortuna di andare in Kenya, ma il mio lavoro mi porta a cercare le curiosità dal mondo e mi sono imbattuta in questo piatto.

L’ugali è una farina grezza di mais bianco simile alla nostra polenta, che viene cotta in  acqua sui carboni. La cottura non è lunga come la polenta nostrana (non mi riferisco chiaramente a quella precotta o istantanea); la cottura dell’ugali infatti termina quando la farina è assorbita completamente; viene poi posta su un piatto e coperta con un panno umido fino a quando viene mangiata.

Proprio per la varietà alimentare questo piatto unico è accompagnato da carni o pesce e verdure, sempre ben ripartite nel piatto in modo da garantire tutto ciò che occorre al pasto.

Oltre a carne e pesce che distribuiscono 4 volte nella settimana, la dieta dei keniani si basa su legumi, patate, uova e anche focacce (non lievitate).

I keniani sono soliti consumare frutta e ben poco si dedicano ai dolci, che possono essere eliminati dalla loro alimentazione e sostituiti ad esempio da matoke ovvero una particolare purea di banane.

Da quanto ho letto e appreso non esiste un locale, ristorante o “trattoria”, passatemi il termine, che non proponga questo piatto anche a turisti curiosi, a coloro cioè che non vanno all’estero alla ricerca di cibi italiani, ma che sperimentano!

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