Arfid: nuova tipologia di disturbo del comportamento alimentare .

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Con la sigla Arfid si intende designare una  nuova patologia che è stata inserita ultimamente nel DSM.

Colpisce particolarmente bambini   ragazzi maschi  già dai 2-3 anni alla pre-adolescenza (secondo le ultime ricerche il 60% dei maschi e il 40% delle femmine).

L’acronimo ARFID (in inglese Avoidant/Restrictive Food Intake Disorder), disturbo evitanterestrittivo nell’assunzione di cibo consiste in un disturbo che può  manifestarsi attraverso diversi comportamenti nei riguardi del cibo. Secondo il DSM5 il disturbo può manifestarsi con un apparente evitamento e restrizione per il cibo, basato sulla preoccupazione delle conseguenze del mangiare come: timore delle contaminazioni, vomito, dolori allo stomaco, timore di allergie , paura  di deglutire etc. e basato sulle caratteristiche sensoriali del cibo.

Bambini che rifiutano alcuni alimenti  o  mangiano in modo disordinato e insufficiente -non per paura di ingrassare- ma che mangiano controvoglia, per esempio, cibi dai sapori molto acidi, o che scelgono di mangiare cibi in base al colore, alla forma o alla consistenza specifica dell’alimento.  Vi è un generale disinteressamento verso i cibi, anche quelli più  appetitosi per i bambini. Spesso questo disturbo viene sottovalutato e chi ne soffre può sembrare schizzinoso o capriccioso ma, in realtà, si tratta di un disturbo alimentare che va affrontato in maniera seria come gli altri disturbi dell’alimentazione. In genere, le persone che soffrono di ARFID  sono sottopeso e devono essere seguite sia dal punto di vista nutrizionale (dove un esperto nutrizionista può istruire a mangiare in modo sano per poter vivere in salute) sia dal punto di vista psicologico (ove lo specialista può aiutare sia il paziente ad affrontare le emozioni negative nei riguardi del cibo, sia i familiari a gestire la relazione con il bambino in modo che il loro comportamento risulti adeguato ai bisogni del paziente).

Non bisogna confondere  l’Arfid con l’Anorressia sulla base del rifiuto categorico per il cibo perchè la motivazione cambia in quanto nell’anoressia i soggetti non assumono cibo perché non si piacciono e perché hanno una percezione distorta del loro corpo, mentre nell’Arfid non si assume cibo per paura delle conseguenze.

L’ ARFID è una devianza alimentare e può presentarsi anche in forma lieve, bisogna tuttavia fare molta attenzione quando il rifiuto dei cibi si estende alla maggioranza degli alimenti in quanto si amplifica il rischio di un inadeguato sviluppo psico-fisico del bambino. Le cause vanno ricercate in vari ambiti come: esperienze traumatiche (un episodio di soffocamento mentre si ingeriva il cibo) o fattori genetici; o ancora potrebbe derivare da intolleranze alimentari e, non per ultime, possono sussistere anche cause psicologiche (difficoltà nella gestione delle emozioni, fragilità emozionale , difficoltà nelle relazioni che provoca una risposta agli stimoli ambientali non funzionale al proprio benessere).

Se ben gestiti, questi disturbi  assumono una connotazione transitoria e si risolvono in breve tempo se ben affrontati e contenuti, andando ad esplorare le dinamiche interne emotive che hanno portato in evidenza il disturbo; altrimenti si corre il rischio che si cronicizzi e quindi l’approccio deve essere molto ben strutturato e il bambino deve essere supportato da un terapeuta competente e specializzato nell’affrontare in maniera funzionale  il disturbo.

È importante affidarsi ad un’equipe multidisciplinare esperta in DCA  composta da pediatra, neuro-psichiatra infantile, nutrizionista, psicologo che attui interventi mirati alla guarigione del disturbo. Occorre fare un’indagine sui valori del ferro e verificare tutte le carenze dell’organismo che l’Arfid ha provocato e, laddove fosse necessario,  dietro prescrizione medica assumere  integratori alimentari.

Soprattutto negli adulti è compromesso il funzionamento psico-sociale e le ripercussioni sulle relazioni  creano non pochi disagi, da qua la necessità di intervenire appena si ha qualche sospetto per evitare una evoluzione e cronicizzazione della patologia.

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