Angelosanto e Demone Denaro

Dopo trent’anni di latitanza è finito in manette il superboss Matteo Messina Denaro. “È con profonda emozione che ringrazio le donne e gli uomini dello Stato che non hanno mai mollato, confermando la regola che prima o poi anche i più grandi criminali in fuga vengono braccati e assicurati alla giustizia. È una bella giornata per l’Italia e che serve da ammonimento per i mafiosi: le istituzioni e i nostri eroi in divisa non mollano mai”. Lo ha riferito il vicepremier e Ministro Matteo Salvini, commentando l’arresto del superlatitante.

Più o meno dello stesso tenore i commenti degli altri leader di partito, di maggioranza e anche di opposizione, oltre naturalmente a quelli del presidente della Repubblica e del Consiglio e di tutte le cariche istituzionali e di governo, come quello del ministro della Difesa. “Arrestato Matteo Messina Denaro! Complimenti alle forze dell’ordine, alla magistratura, alle migliaia di persone che ogni giorno, in silenzio, lavorano per difendere la giustizia. Grazie ai ROS ed ai magistrati per il loro lavoro!”. Questo il tweet del ministro Guido Crosetto.

Ma le parole più attese sono quelle del generale dei carabinieri Pasquale Angelosanto, generale di divisione e comandante del Ros, la struttura anticrimine d’elite dell’Arma, che ha arrestato con i suoi uomini il famigerato e diabolico boss della mafia, Matteo Messina Denaro.

Il fenomeno della “borghesia mafiosa”

Il generale Angelosanto parla espressamente di “borghesia mafiosa”, una rete molto stretta che ha protetto per tre decenni il boss malefico, un vero e proprio demone, considerando gli omicidi anche dei bambini, Mattia Messina Denaro e che ha diverse volte beffato i Ros, che negli anni sono andati più volte vicini alla sua cattura. Il generale ricorda che la storia di questi decenni è segnata anche da politici, funzionari dello Stato e persino esponenti delle forze dell’ordine, che sono stati indagati o addirittura arrestati, per aver aiutato il boss ad evitare la cattura.

Da qualche mese il Ros, grazie a indagini e intercettazioni, messe in dubbio per il futuro da nuove proposte di legge, era riuscito a sapere delle patologie che affliggono Denaro e ha concentrato la sua attività su database sanitari ed obiettivi mirati, cercando in particolare nelle province di Agrigento, Palermo e Trapani la lista delle persone oltre i 55 anni, che avessero le stesse patologie tumorali di Denaro. Il generale assicura che non è stata violata la privacy dei cittadini, perché il Ros ha lavorato su circa 150 codici delle patologie e non sui nominativi, e solo quando la cerchia si è ulteriormente ristretta sono state avviate alcune verifiche di persone con determinate caratteristiche, arrivando ad individuare a dicembre il signor Andrea Bonafede. Il soggetto corrispondeva al superboss  anche perché risultava appartenente a una famiglia mafiosa vicina al padre di Matteo Messina Denaro.

L’operazione del Ros è scattata, perché c’era un’anomalia tra l’orario fissato per le visite alla clinica La Maddalena e il cellulare di Bonafede che risultava da un’altra parte. Anche poco prima della visita prenotata per il 16 gennaio il vero Bonafede risultava a casa e il suo cellulare a Campobello, e così è scattata una massiccia operazione, che ha impegnato oltre 150 uomini dei Ros dentro e fuori la clinica. All’orario fissato sono stati chiusi tutti i cancelli e sono state controllate tutte le persone all’interno, tra le quali è risultata pure il famosissimo ex attaccante della nazionale Totò Schillaci, fino a fermare al bar il signor Bonafede, che è risultato essere Matteo Messina Denaro.

L’operazione è durata quanto una partita di calcio,  novanta minuti, che il generale Angelosanto ha dichiarato essere i più lunghi della sua vita. Il comandante del Ros accusa di scarsa conoscenza della mafia quelli che hanno pensato ad una trattativa segreta per arrivare all’arresto del super latitante Denaro, perché il boss in questi decenni ha vissuto lontano dalla sua stretta cerchia di familiari e affiliati e i fiancheggiatori arrestati nel corso degli anni erano stati tutti molto attenti nei loro spostamenti ed incontri, con i pedinamenti che dovevano essere forzatamente larghi, per evitare di mettere in allarme i mafiosi.

Ora la ricerca del boss si è conclusa, ma la vera nuova indagine è cominciata con la scoperta della sua abitazione nascosta, un secondo covo dove vivevano quattro componenti di una famiglia che aveva avuto legami con la mafia. In una stanza segreta di questa abitazione, nascosta dietro un armadio c’erano scatole pieni di documenti, soldi e gioielli. Il sospetto dei carabinieri del Ros è che qualcuno legato alla mafia si sia già affrettato a ripulire tutto, in particolare le carte utili a ricostruire la vita segreta del boss Denaro o almeno i documenti e materiali più compromettenti, ma il generale Angelosanto spera di scoprire ancora qualcosa, utilizzando i martelli pneumatici e persino le ruspe per verificare ulteriori bunker e covi segreti.

 

 

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