Il ricordo di Papa Ratzinger oltre le dimissioni

Sono stati più di cinquantamila i fedeli in Piazza San Pietro per i funerali del Papa emerito, presieduti da Papa Francesco, un fatto inedito e straordinario. La cerimonia però è stata sobria in un’atmosfera di preghiera, con applausi misurati all’ingresso in processione del feretro, sul quale viene poggiato un Vangelo aperto. Quel Vangelo che, dice Papa Francesco nell’omelia, Joseph Ratzinger “ha testimoniato durante la sua vita”: “Affidiamo il nostro fratello alle mani del Signore”. Dalla folla dei fedeli si eleva il grido: “Santo subito!”.

Nell’omelia Papa Francesco ha parlato della synkatabasis totale di Dio, una dedizione orante, che si plasma e si affina silenziosamente tra i crocevia e le contraddizioni, che il pastore deve affrontare (cfr 1 Pt 1,6-7) e l’invito fiducioso a pascere il gregge (cfr Gv 21,17). Come il Maestro, porta sulle spalle la stanchezza dell’intercessione e il logoramento dell’unzione per il suo popolo, specialmente là dove la bontà deve lottare e i fratelli vedono minacciata la loro dignità (cfr Eb 5,7-9). In questo incontro di intercessione il Signore va generando la mitezza capace di capire, accogliere, sperare e scommettere al di là delle incomprensioni che ciò può suscitare. Fecondità invisibile e inafferrabile, che nasce dal sapere in quali mani si e’ posta la fiducia (cfr 2 Tim 1,12). Fiducia orante e adoratrice, capace di interpretare le azioni del pastore e adattare il suo cuore e le sue decisioni ai tempi di Dio (cfr Gv 21,18): ‘Pascere vuol dire amare, e amare vuol dire anche essere pronti a soffrire.

Invece Papa Benedetto XVI ha voluto compiere il gesto delle dimissioni, che ha cambiato la storia, testimoniando un’opera di umiltà e generosità verso il Prossimo.

“Non si scorge altro che il buio baratro del nulla, ovunque si volga lo sguardo”: così scriveva, in uno dei suoi più densi e profondi passaggi nella sua monumentale “Introduzione al Cristianesimo”.

Del resto, in un mondo in cui i diritti fondamentali non sono realmente tutelati, in cui il valore dello scambio economico prevale sulla pregnanza della relazione giuridica, in cui il diritto alla vita è messo in discussione, in  cui aumenta la divaricazione tra Paesi e popoli ricchi da un lato e lesione dei diritti umani dei Paesi e dei popoli poveri dall’altro, in cui direttamente o indirettamente si riducono gli spazi di democrazia, in cui sempre più si comprime il diritto alla libertà religiosa e di coscienza, pare davvero che tutto venga sempre maggiormente fagocitato dalle tenebre; l’ombra del nichilismo sembra essersi oramai proiettata su tutto, perfino dentro la Chiesa, perfino nel cuore del cattolicesimo, perfino nel cuore dei cattolici e dei giuristi, il più delle volte indifferenti alle difficoltà che l’umanità attraversa.

Dinnanzi a tale fosco scenario Papa Benedetto XVI ha indicato la via da seguire nelle sue tre encicliche, quasi per tracciare ai giuristi del XXI secolo la rotta da seguire, per evitare il naufragio, donando loro un faro di riferimento, che rischiari la notte dello spirito, che si sta attraversando ormai da parecchi decenni.

Le encicliche papali di Papa Benedetto XVI si caratterizzano per la ricchezza e la profondità degli argomenti trattati, pur accompagnati dalla non comune chiarezza, con cui gli stessi vengono resi.

Tutti giuristi farebbero bene a non sottrarsi alla ponderazione di ciò che Benedetto XVI ha scritto, proprio sul piano del diritto.

Gli insegnamenti di Papa Ratzinger intorno al diritto si distinguono in tre differenti dimensioni interconnesse, la dimensione metodologica, la dimensione ontologica e quella assiologica e su quali conseguenze trarre da  esse.

La dimensione metodologica risente del profilo tipico di Benedetto XVI, sia come cristiano, sia come teologo, cioè come naturale interlocutore della ragione umana, poiché per un cristiano e per un pontefice di Santa Romana Chiesa di autentica formazione cattolica la fede – come hanno insegnato tra gli altri S. Anselmo, S. Agostino e S. Tommaso d’Aquino – non può essere disgiunta dalla ragione, in nessun caso e soprattutto quando si affronta il problema del diritto.

La giustizia riguarda il diritto, ma anche la misura intrinseca di ogni politica. La politica è più che una semplice tecnica per la definizione dei pubblici ordinamenti, perché la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia, e questa è di natura etica.  C’è una domanda radicale alla quale bisogna rispondere: Che cosa è la giustizia? Questo è un problema che riguarda la ragione, ma per poter operare rettamente, secondo Papa Ratzinger, la ragione deve essere sempre purificata, perché il suo accecamento etico, derivante dal prevalere dell’interesse e del potere che l’abbagliano, è un pericolo mai  eliminabile completamente.

Da questo basilare interrogativo, si transita dalla dimensione metodologica a quella ontologica, poiché un sistema giuridico e socio-politico, che non confida nella giustizia, non può dirsi realmente né strutturalmente giuridico, né essenzialmente socio-politico, in quanto soltanto nella prospettiva della giustizia si può fuoriuscire dall’alveo dell’individualismo e dell’immanenza, aprendosi al cielo della speranza e della trascendenza.

In tale direzione, spiega Papa Benedetto XVI “la questione della giustizia costituisce l’argomento essenziale, in ogni caso l’argomento più forte, in favore della fede nella vita eterna. Il bisogno soltanto individuale di un appagamento, che in questa vita ci è negato, dell’immortalità dell’amore che attendiamo, è certamente un motivo importante per credere che l’uomo sia fatto per l’eternità; ma solo in collegamento con l’impossibilità che l’ingiustizia della storia sia l’ultima parola. In questo modo diviene pienamente convincente la necessità del ritorno di Cristo e della nuova vita”

La giustizia, tuttavia, per essere tale deve essere messa in relazione con la grazia, come la ragione con la fede, poiché la giustizia non è assoluta, ma mitigata e arricchita dalla grazia, la quale a sua volta non rinnega la giustizia, ma la supera conservandola.

Entrambe, dunque, devono essere correttamente e autenticamente intese, perché la grazia non esclude la giustizia, non potendosi cambiare il torto in diritto. Secondo Papa Ratzinger “I malvagi alla fine, nel banchetto eterno, non siederanno indistintamente a tavola accanto alle vittime, come se nulla fosse stato”.

In quest’ottica deve essere messa in relazione, allora, la giustizia con la carità, giungendo così alla dimensione assiologica degli insegnamenti di Papa Benedetto XVI per i giuristi.

Nell’enciclica Caritas in veritate, infatti, si legge che “la carità esige la giustizia: il riconoscimento e il rispetto dei legittimi diritti degli individui e dei popoli e supera la giustizia, nel senso che la completa nella logica del dono e del perdono. La “città dell’uomo” non deve essere promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione.

Il diritto non può essere semplice espressione della volontà dell’autorità o del più forte, non può essere ridotto alla sua regolarità formale, non può essere sottomesso alle prassi politiche ed economiche o di qualsivoglia altra specie, perché il diritto è qualcosa di più e di diverso. Per Papa Benedetto XVI oltre gli aiuti economici devono esserci quelli volti a rafforzare le garanzie proprie dello Stato di diritto, vale a dire un sistema di ordine pubblico e di carcerazione efficiente nel rispetto dei diritti umani e occorrono istituzioni veramente democratiche. L’articolazione dell’autorità politica a livello locale, nazionale e internazionale è una delle vie più importanti per arrivare ad essere in grado di orientare la globalizzazione economica, per evitare che essa mini di fatto i fondamenti stessi della democrazia.

Diritto di tutti, cioè il diritto alla vita, non, dunque, per motivi legati alla fede, ma per motivi legati alla ragione e al diritto naturale che tutta la dimensione dell’ordinamento giuridico e politico dovrebbe costantemente illuminare e sorreggere.

Per Papa Ratzinger se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale. È una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto dell’ambiente naturale, quando l’educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesse. Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale. I doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona, considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e conculcare gli altri.

Per evitare ogni riduzionismo biologista, tuttavia, occorre tener conto anche degli altri diritti umani e fondamentali, cominciando proprio da quello di professare pubblicamente la propria religione, troppo spesso compresso e sacrificato non soltanto nei dispotici regimi orientali o nei totalitarismi dalla forte caratura ideologica, ma anche nei sistemi democratici occidentali.

Papa Benedetto XVI afferma che l’esclusione della religione dall’ambito pubblico come, per altro verso, il fondamentalismo religioso, impedisce l’incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell’umanità. La vita pubblica si impoverisce di motivazioni e la politica assume un volto opprimente e aggressivo. I diritti umani rischiano di non essere rispettati o perché vengono privati del loro fondamento trascendente o perché non viene riconosciuta la libertà personale. Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo e di una proficua collaborazione tra la ragione e la fede religiosa. La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede, e questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi onnipotente. A sua volta, la religione ha sempre bisogno di venire purificata dalla ragione per mostrare il suo autentico volto umano. La rottura di questo dialogo comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell’umanità,

I diritti fondamentali, non possono essere separati dai diritti sociali, poiché anch’essi riflettono la dignità della persona. I poveri in molti casi non sono altro che il risultato della violazione della dignità del lavoro umano, sia perché ne vengono limitate le possibilità con la disoccupazione e la sotto-occupazione, sia perché vengono svalutati i diritti, che da esso scaturiscono, specialmente il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona del lavoratore e della sua famiglia

Per riuscire in tutto ciò, per Papa Ratzinger occorre – specialmente per i giuristi – tenere e mantenersi nel solco dell’umanesimo cristiano, rigettando ogni visione materialistica e immanentistica della storia e dell’uomo, che si ritrova per essere tanto anti-umana quanto profondamente anti-cristiana.

Sempre con le dense parole di chiusura della Caritats in veritate, infatti, “la disponibilità verso Dio apre alla disponibilità verso i fratelli e verso una vita intesa come compito solidale e gioioso. Al contrario, la chiusura ideologica a Dio e l’ateismo dell’indifferenza, che dimenticano il Creatore e rischiano di dimenticare anche i valori umani, si presentano oggi tra i maggiori ostacoli allo sviluppo. L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano, mentre solo un umanesimo aperto all’Assoluto può guidarci nella promozione e realizzazione di forme di vita sociale e civile — nell’ambito delle strutture, delle istituzioni, della cultura, dell’ethos — salvaguardandoci dal rischio di cadere prigionieri delle mode del momento. È la consapevolezza dell’Amore indistruttibile di Dio che ci sostiene nel faticoso ed esaltante impegno per la giustizia, per lo sviluppo dei popoli, tra successi ed insuccessi, nell’incessante perseguimento di retti ordinamenti per le cose umane. L’amore di Dio ci chiama ad uscire da ciò che è limitato e non definitivo e ci dà il coraggio di operare e di proseguire nella ricerca del bene di tutti, anche se non si realizza immediatamente, anche se quello che riusciamo ad attuare, noi e le autorità politiche e gli operatori economici, è sempre meno di ciò a cui si anela. Dio ci dà la forza di lottare e di soffrire per amore del bene comune, perché Egli è il nostro Tutto, la nostra speranza più grande”


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