<strong>Crisi in sei scene – Stati Uniti, 1960. Una coppia di coniugi della classe media formata dalla psicologa Kay (Elaine May) e da Sidney (Woody Allen), scrittore che sta per “svendersi” alle serie tv, si vede piombare in casa Lennie (Miley Cyrus), una ragazza hippie che manifesta contro la guerra in Vietnam, ricercata dalla polizia. L’equilibrio di casa Munsinger verrà così stravolto da questa ospite ingombrante.
Crisi in sei scene, recensione
La prima e finora unica (non ne farà più, dice, in quanto si è rivelata per lui un’operazione difficile) serie firmata da Woody Allen è un piccolo gioiello incastonato, quasi nascosto, da un po’ di tempo nel catalogo di Prime Video. Si apre con dei filmati di repertorio delle rivolte dell’epoca e con in sottofondo la musica dei Jefferson Airplane, che poi lascia spazio inevitabilmente al jazz tanto amato da Woody. Siamo nell’epoca del Vietnam e dei Black Panthers e alcuni personaggi si chiedono se dovrebbero arruolarsi o scendere in piazza in un momento così difficile per il paese, se sia arrivato il momento di fare di più oltre che votare. Ma la sensazione è che non lo faranno mai, età avanzata a parte anche i giovani sembrano di quelli capaci di cambiare il mondo solo a parole. Il giovane Alan (John Magaro) stesso si infervora con intenti rivoluzionari che poi naufragano miseramente.
Un piccolo gioiello, dicevamo, nonostante gli indiscutibili difetti. Allen fa ridere di gusto con le sue classiche battute pungenti, sagaci e sofisticate fin dalla prima scena seduto dal barbiere, nonostante un personaggio che è sempre lo stesso, con le sue paranoie e la sua ipocondria. Deliziosi i duetti tra lui e la May, così come le vecchiette del club del libro che diventano ferventi discepole del “presidente” Mao Tse-tung. L’impianto registico è molto teatrale, ricco di campi a due che nemmeno si preoccupano di immortalare entrambi gli attori a favore di camera, ma questo è un elemento ricorrente di Allen che da sempre ritiene di ottenere il meglio da loro evitando di girare troppe inquadrature. Curata e godibile anche la ricostruzione delle scenografie anni ’60, esilarante il finale caoticamente corale.
Detto questo, “Crisi in sei scene” è un’operazione accordata alla ricca produzione di Jeff Bezos in virtù di un’importante offerta economica. In sostanza si tratta di un classico film alleniano spezzato in sei segmenti. Forse più lungo della media delle sue opere: sei puntate di poco più di venti minuti che raggiungono un totale di due ore circa . Il comico e umorista americano non si snatura, non intende scervellarsi e creare un qualcosa di nuovo per un nuovo medium. Come spesso le serie portano a fare lascia perdere a tratti la sintesi e si ritrova a dover allungare il brodo. Prova timidamente a chiudere le puntate con una sorta di cliffhanger ma si vede che il format non è quello a lui più congeniale. Questo non significa non poter godere con questo prodotto delle sue inimitabili e raffinate freddure, in uno scenario generale dove comicità e pensiero faticano sempre più a stare insieme.