Affido dei minori. Condiviso ed esclusivo. Le diverse ipotesi

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Uno degli argomenti di maggiore tensione dopo il divorzio o la separazione coniugale riguarda l’affidamento dei figli se essi sono minorenni. Raggiunti i 18 anni, i ragazzi possono liberamente scegliere il genitore con il quale abitare, così come possono decidere di vivere anche per conto proprio.

Il trauma della separazione

Assistere a continui litigi o addirittura a scene di violenza certo non è una situazione idilliaca per un minore, ma ai suoi occhi anche il fatto che i genitori “non si vogliano più bene” è un dramma. Per consentirgli di superare, nei limiti del possibile, il trauma dello scioglimento della famiglia, occorre compiere delle scelte nell’esclusivo interesse morale e materiale del minore.

Per raggiungere questo fine, la regola è quella dell’affidamento condiviso (art. 337 ter c.c.). Il minore viene affidato ad entrambi i genitori, che se ne devono occupare mantenendo con lui un rapporto sereno ed equilibrato. Entrambi i genitori, seppur in dimore diverse continueranno a garantire cura, educazione ed istruzione, così come quando erano insieme.

Qualora il giudice ritenesse che l’affidamento condiviso sia contrario agli interessi del minore, può decidere di affidarlo ad uno solo dei genitori (cfr. anche Ordinanza n.28244/2019 Corte di Cassazione).In simili ipotesi il tribunale dispone l’affidamento esclusivo del minore al genitore che viene ritenuto idoneo, spiegando le ragioni della decisione (art. 337 quater c.c.).

Affidamento e collocamento dei figli

Diverso dall’affidamento è il collocamento dei figli, quando cioè si decide presso quale dei due genitori dovranno abitare. In caso di affido condiviso occorre decidere presso quale dei genitori essi dovranno abitare.

Il collocamento può essere di tre tipi:

  • Collocamento prevalente, ovvero il minore ha la residenza prevalente presso uno dei genitori. Il genitore in questione si chiama “collocatario” e il più delle volte si tratta della madre.
  • Collocamento alternato, ovvero minore abita in modo alternato con ognuno dei genitori. Ad esempio alcuni mesi con il padre e alcuni mesi con la madre.
  • Collocamento invariato, ovvero il minore abita stabilmente in quella che era la residenza familiare, e sono i genitori ad alternarsi a vivere con lui.

Delle tre soluzioni, di solito, nell’interesse nel minore si sceglie la prima perché è quella che garantisce maggiore stabilità. In tutti i casi, trattandosi di scelte molto delicate che potrebbero avere ripercussioni sul normale sviluppo psicofisico del minore, è sempre opportuno farsi seguire da un legale esperto con il quale arrivare a determinare la soluzione migliore per tutti.

La capacità di discernimento

La legge prevede anche che il giudice, ai fini della decisione di collocamento, possa ascoltare le ragioni del minore che abbia compiuto 12 anni di età. In taluni casi è possibile anche che il giudice possa ascoltare un minore di età inferiore a 12, qualora lo si ritenga capace di discernimento, ossia sia in grado di comprendere le situazioni e gli eventi, di ragionare in modo autonomo e di avere una sua opinione.

La capacità di discernimento di un minore solitamente si apprende attraverso un colloquio del minore con un esperto, ma la Suprema Corte di Cassazione, in una recente sentenza, ha affermato che l’accertamento tecnico non è indispensabile, e che può essere lo stesso giudice, sentito il minore, a valutare la sua capacità di discernimento.

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