LA TEMPESTA DI EDUARDO e le marionette


Eduardo rivisitato

E’ andata in scena nei giorni 6, 7 e 8 dicembre al Teatro Acacia di Napoli, nell’ambito del Forum delle Culture Napoli e Campania e  delle celebrazioni del trentennale della dipartita  del Maestro,La tempesta “di Eduardo De Filippo, nella versione marionettistica della “Compagnia Marionesttistica Carlo Colla e figli”.

Trasposizione “madrina”  di quest’opera, che la tenne a battesimo  già la prima volta quando  andò in scena -sempre  con la stessa compagnia e con l’ausilio delle marionette durante la XXX della Biennale di Venezia- il 4 ottobre del  1985, al Teatro Goldoni di Venezia. Il direttore al tempo era Franco Quadri, e l’intento era quello di commemorare la recente scomparsa del maestro avvenuta un anno prima; in quell’ occasione si riprese l’idea che già era stata di Eduardo nella forma del teatro di figura, in nome di un valore tanto artigianale quanto metafisico dell’arte rappresentativa (marionette), utilizzando il materiale audio registrato da Eduardo, il quale  volle interpretare tutti i personaggi eccetto Ariele che aveva la voce di Antonio Murro e Miranda che aveva la voce di Imma Piro.

Il maestro Antonio Sinagra porterà a compimento il tessuto musicale creato per l’epoca: oltre quelle già scritte per Ariele (Antonio Murro ) ed Eduardo, quali le canzoni di Calibano che canterà ritagliando, per sé stesso, l’ultimo strepitoso personaggio della sua carriera, mentre Luca De Filippo curerà l’edizione da utilizzare per lo spettacolo .

Successivamente il maestro Sinagra racconterà che Eduardo era rimasto talmente affascinato dal terribile e impetuoso Calibano  che decise di registrare d’istinto -con l’ausilio dell’armonica e della chitarra, con toni cavernosi, rauchi e faticosi sul piano vocale, questo brano. Dopo  verrà costruito l’accompagnamento del brano sull’inciso. Di solito avviene il contrario. Si parte per un avventura quasi alchemica, rischiosa e per questo avvincente che aggiunge corpo a quanto già la voce intangibile del maestro riusciva a costruire nell’immaginario di chi l’ascoltasse.

La  rappresentazione de” La tempesta” ha una genesi lunga; innanzitutto, la difficoltà incontrata nello scegliere quale commedia tradurre;   tale  scelta  avvenne su richiesta  dell’editore Giulio Einaudi  per la collana Scrittori nel 1983, dove, in un primo momento, si era orientati verso “Sogno di una notte di mezza estate” e solo in seguito si approdò alla  ”La tempesta”  di Shakespeare, ultimo testo del Bardo con il quale si identificherà  poi, per un ironico quanto amaro destino , anche il  testamento poetico e teatrale di Eduardo, quasi il suo congedo dal mondo.

 

La seconda fase è rappresentata dalla lunga, complessa, faticosa e rivoluzionaria traduzione del testo. Traduzione che avvenne in vari tempi  dopo aver studiato diversi testi  tradotti .Con l’aiuto della moglie Isabella Quarantotti  arrivò a quello sul quale  lavorò e cioè il testo originale in inglese nella sua forma pura ed essenziale .Come anch’ella dirà “altri testi lo facevano sentire come uno che legge, lui voleva essere uno che scrive”. Si avvicinava con rispetto a quello che riteneva il primo della classe. Fu un lavoro lungo e laborioso ma come anch’egli dirà dopo: “ho cercato di essere il più possibile fedele al testo come si dovrebbe essere nel tradurre, non sempre ci sono riuscito. Talvolta, specie nelle scene comiche, l’attore in me si ribellava a giochi di parole ormai privi di significato e allora li ho cambiati “.

Sceglie, nella sua traduzione, una scrittura lontana dai toni reali,e dalle espressioni quotidiane; per questo lavoro si affida al napoletano del Seicento, ovvero al momento storico della codificazione della lingua napoletana, ai suoi significati;  cerca la possibilità di fatti e creature magici  che nessuna lingua possiede. In realtà, questa scelta linguistica si rivela solo un punto di partenza, d’ispirazione, la base su cui, tra  deviazioni della norma, si arriva all’invenzione teatrale. La sua sensibilità e cultura gli impongono di usare  il valore evocativo della lingua antica che, con geniale intuizione, la associa all’universo magico facendone un utilizzo non logico ma funzionale e allusivo. Arriva ad una lingua inventata  e dunque teatrale che attinge ad un dialetto  autorevole (quello napoletano) ma lo arricchisce, lo contamina con espressioni linguistiche che dal ‘600 giungono fino al ‘900. Espressioni proverbiali, gergali fino alla “parlesia”: così Prospero pronuncia i suoi versi in dialetto, con estremo disincanto, in un paesaggio napoletanizzato, che ricrea immagini e situazioni sconosciuti ai personaggi shakespeariani e nei quali invece, quelli eduardiani, si muovono come indigeni . La grandezza del suo testo è che, pur mutando la genetica di quest’opera nelle modalità tipiche della tradizione dialettale, toni comici e farseschi , resta fedele nei suoi argomenti e alle ambientazioni al capolavoro elisabettiano.

Ecco come si arriva alla sera del 4 ottobre 1985 al Goldoni di Venezia,  dove la rappresentazione diretta da Eugenio Monti Colla , porta a compimento questo processo compiuto su Shakespeare dopo la traduzione del testo, la registrazione e la messa in scena di 150 marionette di circa un metro e mezzo di altezza, più di quante previste nel testo shakespeariano, dove la dimensione favolistica –popolare,   con l’aiuto di macchine teatrali che raccolgono l’evoluzione storica della scenografia, dai riferimenti alla Commedia dell’Arte alle tecniche metateatrali, portano ad un ennesimo prodigio che trova, nella specificità della veste marionettistica, un risultato diverso. L’opera, dunque, supera sia il modello shakespeariano che la riscrittura eduardiana da cui si alimenta. La mancanza dell’espressività mutevole e imprevedibile dell’attore, si orienta verso un immagine fissa che riconduce a quella umana ma non la imita.

Di  grande impatto la voce di Eduardo, che risale a poco prima della morte; ciò veste ancor più di mito, leggenda un uomo che dona come testamento quest’ultima opera . Un grande spettacolo senza di lui, ma con lui.


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