Il caciocavallo silano rappresenta, con la sua tipicità, buona parte del Sud Italia
Questo formaggio a pasta filata, di tipo semiduro, vanta il riconoscimento di DOP fin da 1993 e affonda le sue radici nell’altipiano della Sila, anche se gode di una vasta area di produzione che tocca le aree interne della Calabria, ma che interessa anche parte della Basilicata, del Molise, della Puglia e buona parte delle province campane.
Come il pomodorino del piennolo, anche per il caciocavallo silano possiamo dire, con gli Antichi, in nomen omen; infatti, tale denominazione sembrerebbe derivare direttamente dalla tecnica di conservazione più antica che sia stata attestata, cioè quella di appendere tali forme di formaggio, in coppie, a cavallo di pertiche di legno generalmente vicine ai focolari. Di questa tecnica, usata dai Greci, ci parla addirittura Ippocrate nel 500 a. C.
La base del prodotto è composto da latte vaccino, di diverse razze tra cui la Podolica (razza autoctona della zona interna dell’ Appennino meridionale) e la lavorazione ha inizio facendo coagulare il latte fresco, usando caglio di vitello o di capretto; viene lasciato a fermentare dalle quattro alle dieci ore, fino a quando la pasta si presenta in condizione per essere filata. Ai casari spetta poi il compito di plasmare il caratteristico cordone fino a dare al caciocavallo la forma desiderata, forma che varia a seconda delle aree geografiche di produzione. Pertanto, il prodotto può presentarsi sferico, ovale o troncoconico, di crosta color paglierino e con una pasta che varia dal bianco al giallo.
La ricetta che oggi vi proponiamo è tipica della cucina calabrese, una frittata con il caciocavallo.
Lessare il riso (circa 200 gr.) e lasciarlo raffreddare mentre, con una grattugia a campana, grattugerete il caciocavallo silano per il lato dai fori larghi. Sbattete le uova (max 8) con sale e pepe q.b., aggiungete il formaggio e mescolate tutto. Versate questo composto in una padella dove avrete fatto riscaldare dell’olio extravergine di oliva, e fate cuocere a fuoco lento coprendo il tegame con un coperchio o con un piatto. Girate e appena rassodata, impiattate la frittata e accompagnatela con un Fiano di Avellino Colli di Lapio di Clelia Romano, consigliatoci dal sig. Salvatore Esposito, uno dei più ricercati sommeliers dell’area flegrea. Dal colore giallo paglierino carico che tende al dorato, questo vino, grazie ai profumi netti di albicocca, ananas, nocciola ed al gusto con mineralità ed acidità, ben si sposa con la sapidità e l’aromaticità del cacio, senza contare che bisogna bilanciare anche la tendenza dolce del riso e dell’uovo.
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