Giovanni Taranto: “Il testo di Geolier è da tripla matita rossa”

Non si placa la bufera scoppiata sull’uso scorretto del napoletano nella stesura del brano che Geolier porterà a Sanremo

Da quando il settimanale TV Sorrisi e Canzoni ha pubblicato il testo della canzone che Geolier porterà sul palco dell’Ariston, tante sono state le perplessità e le critiche espresse sull’uso scorretto del napoletano.

Il testo del brano “I p’me tu p’te” ha suscitato aspre polemiche non solo tra i puristi del napoletano. Il Movimento Neoborbonico che ha definito il testo “a tratti indecifrabile” ha inviato il testo corretto in lingua napoletana alla casa discografica milanese di Geolier.

D’altro canto c’è stato anche chi ha difeso la scelta stilistica adottata dagli autori del brano parlando di autenticità ed evoluzione linguistica e sottolineando l’importanza di portare il napoletano sul palco dell’Ariston.

Giovanni Taranto: “I p’me tu p’te”, orrori oltre che errori”

Tra il desiderio di preservare la purezza linguistica e l’esigenza di adattamento e evoluzione della lingua, ho preferito non schierarmi. È con Giovanni Taranto, giornalista e scrittore, nonchè papà del Capitano Mariani, amato protagonista della trilogia edita da Avagliano, che ne ho parlato, il quale, senza troppi “se” e troppi “ma”,  mi ha subito parlato di un “terremoto”.

L’istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha segnalato negli ultimi giorni intense “vibrazioni” nel sottosuolo di Napoli, Roma e in Toscana” – così ha esordito Taranto –  “Ulteriori approfondimenti hanno portato a individuare con precisione gli epicentri di tali fenomeni nel cimitero di Santa Maria del Pianto, in quello monumentale del Verano e nel piccolo camposanto di Magliano. La perfetta corrispondenza con le sepolture di Totò, Eduardo e Pino Daniele ha portato un pool di esperti a determinare la causa di tali moti tellurici: i primi due “grandi” si rivoltano nella tomba, e perfino l’urna con le ceneri dell’autore di “Napule è” vibra in maniera preoccupante dopo che è stato diffuso il testo con la resa grafica del pezzo che Geolier porterà a Sanremo.”

Taranto nella sua accurata analisi del testo ha aggiunto: “I p’me tu p’te”. Il titolo riassume la questione. In quanto a ortografia, orrori oltre che errori.”

  • Beh! È chiaro che anche tu sia inorridito dall’utilizzo scorretto del napoletano, ma sarei curiosa di conoscere il parere del Capitano Mariani, romano de Roma, che a volte fatica a capire i suoi uomini, quelli della Compagnia dei Carabinieri di San Gioacchino, immaginaria cittadina alle falde del Vesuvio.

Sul punto, il Capitano Mariani, della Compagnia dei Carabinieri di San Gioacchino, è stato incaricato dalla Pm Clara di Fiore di aprire un fascicolo di indagine con l’ipotesi di assassinio della lingua napoletana. 

Scherzo, ovviamente. Lo faccio per stemperare il clima acceso delle polemiche che in questi giorni si sono fatte roventi intorno al trattamento che è stato riservato al nostro vernacolo nel mettere nero su bianco parole e versi del pezzo del giovane rapper che spazia dalla trap all’hip-hop.

Però, “pazziànno pazziànno”, due cose le vorrei dire. Intendiamoci, non seguo Sanremo con particolare interesse, nè voglio entrare nel merito del valore del brano in questione. Non mi permetto di giudicare Geolier, né la sua musica. In questa sede, quel che ne penso, alla luce dei miei gusti musicali e del mio pensiero sul contenuto del testo, resta affar mio.

Mi riferisco, esclusivamente, alla resa della lingua napoletana (so che molti a questo punto vorranno puntualizzare sia un dialetto, ma questa è altra storia). Mi permetto di esprimere il mio pensiero perché come della lingua italiana da una vita rispetto regole e coltivo l’uso nella mia professione di giornalista, così del napoletano sto tentando di dare una resa più accurata e corretta possibile nelle frequenti espressioni in vernacolo che costellano i romanzi con le indagini del Capitano Mariani.

Anzi, spesso mi capita addirittura di dover studiare ore per riuscire a comprendere in quale modo più corretto rendere le sfumature e le differenze fra la lingua di Viviani in senso stretto e il dialetto vesuviano.

Con altrettanta cautela mi applico per tentare di non sbagliare nel trattare i dialetti locali dei vari Carabinieri e personaggi provenienti da Sicilia, Sardegna, Toscana e tante altre splendide parti del nostro Paese. E anche così mi capita qualche imprecisione.

Sarò molto diretto: nel testo di Geolier è stato fatto uno scempio totale del partenopeo. Cosa inammissibile per qualsiasi idioma. Per il napoletano (e il vesuviano) come per l’italiano, l’inglese, il francese, il latino, il greco antico o moderno e qualsiasi altra forma di espressione scritta.

Insomma, non è che se vado a Londra o New York, in nome della modernità posso scrivere “danghiù” per ringraziare qualcuno, o concludere una lettera d’amore con un palpitante “ailoviù”. Scrivete “tanchesce” a un tedesco, o “mersibocù” a un parigino, e molto difficilmente ne riceverete sensi di stima e comprensione.

Giovanni Taranto
Giovanni Taranto, giornalista e scrittore

Taranto: “Il mio non vuole essere un attacco a Geolier”

  • Non ritieni, dunque, che si possa offrire agli autori del testo di Geolier la chance di parlare di adattamento e/o evoluzione delle lingue in contesti moderni e artistici?

Il rispetto dell’ortografia, della grammatica e della sintassi sono le basi su cui poggia l’intero sistema di trasmissione di una lingua. Lecito voler esprimere e comunicare qualsiasi concetto, in nome della libertà di espressione e di quella artistica. Ben venga anche qualsiasi licenza poetica. Ma niente di tutto questo può giustificare il tentativo far passare per “evoluzione della lingua scritta” quello che in realtà è un testo da “tripla matita rossa”, in cui praticamente ogni singola parola è graficamente e ortograficamente sbagliata, ogni frase viola la grammatica e ogni periodo cozza contro la sintassi del napoletano.

Certo, ogni lingua si evolve. Non ci piove. Guai non fosse così.  Ma questo processo avviene in tempi lunghi, per deriva linguistica, attraverso mutazioni infinitesimali che attraversano generazioni, e devono conquistarsi credito attraverso uso, diffusione collettiva e condivisa. Non per decisione univoca e improvvisa di un singolo. Riguarda termini, modi di dire, neologismi, “captazioni” da altri idiomi e contaminazioni. Non certo il resto.

E, nel caso in specie, non mi pare reggano neppure il teorema del presunto tentativo di “interpretazione personale” della lingua, né quello del tentativo di “svecchiamento” del napoletano in nome di una presunta virata verso un nuovo tipo di linguaggio.

Carosone prima, e il grande Pino poi, sono stati protagonisti di altrettante svolte epocali nella canzone napoletana. Hanno cambiato veramente tutto, ma di certo non macellando la lingua o violentandone gli strumenti di corretta trasmissione.

Concludo sottolineando che il mio non vuole essere un attacco a Geolier. Vinca o meno Sanremo, poco cambia secondo il mio punto di vista: gli auguro il meglio anche fuori dal palco monopolizzato da Amadeus (e non c’è dubbio che tutta la gazzarra sul testo del suo brano gli stia facendo gioco a livello mediatico).

Credo però che sia importante ribadire che, sempre e in ogni caso, siano fondamentali lo studio e la corretta applicazione dei canoni fondamentali del linguaggio: solo in questo modo il “mezzo linguistico” resta in grado di esprimere e trasmettere correttamente il messaggio che vuole portare, in modo inequivoco, al di là di tempo, spazio e possibili interpretazioni personali.

 


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