Max Manfredi torna con un nuovo album

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Dietro lo sfogo apocalittico di un piazzista in trasferta invernale, il fallimento della new economy e della sua cultura.

Il nuovo album di Max Manfredi si intitola “Dremong”brani nuovi e altri antichi che vedranno la luce con una veste volutamente “vintage”. “Dremong” l’orso tibetano totem dell’album è un inquieto ed inquietante essere dal carattere – tradizionalmente – malvagio e che tende spesso ad alzarsi sulle zampe in posizione eretta, simile agli Umani, tanto da aver dato origine, secondo alcuni, alla leggenda dello Yeti, l’Abominevole Uomo delle Nevi. Un orso imprendibile che abita le altitudini e le solitudini himalayane, e ogni tanto si mostra al consesso umano… Un album, questo “Dremong“, dove l’inquietudine è musa ispiratrice per quattordici canzoni senza tempo. I suoni delle tastiere vintage si sposano con quelli della chitarra classica, della chitarra elettrica, di strumenti tradizionali come il glockenspiel, la concertina, gli orientali gu-qin e go-zen, i flauti, il violino, la batteria, le percussioni e il basso fretless. “Dremong” è un disco trasversale: progressive solo nei timbri, nostalgico della world music europea, affamato di accenni rock. In sostanza, è un album fatto da musicisti, con canzoni originali e inconfondibili, realizzate con passione artigianale senza imposizione di confini. Se infine di stile bisogna parlare, ecco lo stile “Dremong“! Il progetto Dremong è stato realizzato con il sistema del crowdfunding, avviato e concluso su MusicRaiser, con la partecipazione di 201 raisers. Altro progetto in corso è quello in collaborazione con il musicista torinese Giorgio Licalzi.

Già dai suoi primi dischi, fino al monumentale “Luna persa” , Max Manfredi è affezionato, legato, alla figura del piazzista. Le sue canzoni parlano spesso di piazzisti, o meglio, Max fa parlare i piazzisti dalle sue canzoni. Il piazzista del Disgelo, come già quello di Luna persa, gira l’Italia e ‘Europa, un’Europa invernale, cristallizzata nei suoi ritmi inutilmente, stupidamente veloci e nella sua mediocrità obbligatoria mascherata da esigenza comunicativa. Non ha tempo di soffermarsi sulle singole impressioni. Non può che accettarne l’impatto e l’iridescenza. E’ quello che si dice un uomo di buona volontà, cioè un peccatore che cerca di venire a patti coi peccati, suoi e del mondo.

C’è nella canzone la nostalgia smaccata di un ritorno, che trova sfogo nell’improbabile “amore mio” assente cui si rivolge. Questo “amore mio”, apostrofe tanto vieta e abusata da poter ritornare vergine e necessario, è il testimone della sua voglia di un rifugio, di un luogo dove riconoscersi e tornare. O forse è solo l’esilio-asilo di un gioco di specchi. La tentazione di una quotidianità vissuta fra le maglie di una catastrofe, di una apocalissi annunciata, plausibile, ma mai risolta. Così il “nostro” indefinito protagonista – che nulla o poco ha a che fare con l’autore, se non nelle idiosincrasie e nell’eroismo spicciolo ed innocuo, ma comunque testardo che lo caratterizza – decide che deve “infilarsi nella Coda del Pavone”: attraversare l’iridescenza del mondo e del pensiero, per trovarsi da un’altra parte, lontano dai meccanismi coatti del lavoro e della società così come è e come si mostra fra le mille autostrade che egli percorre, o nelle soste precarie che si concede. Il piazzista è allora una figura dei tarocchi di Max, come la Coda del Pavone e il Disgelo che dovrà avvenire, carta di un rituale scaramantico, simbolo ambiguo, sfacelo e arcobaleno che sposa fra loro i cesti di asfodeli ( sintomo di un’economia di sussistenza) , e i legni dell’Ikea, trionfo del precariato d’uso e del mobilio liofilizzato e funzionale.

Ma la canzone è fatta di musica: gli archi orchestrati dal maestro Ugas sono blocchi erratici, giostre vertiginose, assidui ritorni di “falsi movimenti”. L’Esodo non ha più il senso della traversata verso la meta, ma s’incaglia in un labirinto di code, questa volta non di pavoni, ma d’automezzi, in un immenso snodo di Moebius. Il luogo desiderato è il luogo di un ritorno che coincide ormai senza speranza con l’accettazione di tutto e il rifiuto di tutto, con questa “paurosa simmetria” e i suoi indescrivibili carillon.

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