La Festa del lavoro che c’è

La Giornata internazionale dei lavoratori fu istituita e celebrata per la prima volta il 1 maggio nel 1890, una data che ricorda il massacro di Haymarket, per l’esito delle contestazioni avvenute in occasione dello sciopero generale indetto il 1 maggio 1886 a Chicago, e anche per l’iniziativa della Seconda Internazionale, riunita nel Congresso svoltosi a Parigi nel 1889.

Dunque la festa del lavoro è un’iniziativa di matrice socialista, come giorno di lotta e di astensione collettiva dal lavoro, per ottenere, nei primi anni, la riduzione dell’orario di lavoro alle otto ore giornaliere, dedicando le restanti sedici allo svago e al riposo.

L’internazionale socialista stabilì che “Una grande manifestazione sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare ad effetto le altre risoluzioni approvate nel 1889 al Congresso di Parigi”.

Le prime manifestazioni furono avversate categoricamente dai governi, in quanto fonti di rivendicazioni di massa e di conseguenti disordini. Nel 1890 Francesco Crispi, primo ministro del nuovo Regno unitario sabaudo d’Italia, vietò qualsiasi manifestazione pubblica sia per il 1 maggio, sia per la successiva domenica 4 maggio. Ma la manifestazione dei lavoratori si svolse lo stesso regolarmente e ottenne peraltro un successo superiore alle aspettative.

Le istanze dei lavoratori, anche dopo aver ottenuto le otto ore lavorative, si sono evolute fino a tempi assai più recenti in ragione delle fasi e delle vicende storiche, a partire già dai primi anni successivi al 1890, portando all’attenzione, per esempio, nel secondo decennio del Novecento la contrarietà all’entrata in guerra, considerata incompatibile con lo spirito dell’Internazionale socialista. Il 19 aprile aprile 1923, però su proposta del governo Mussolini, re Vittorio Emanuele III promulgò un decreto del seguente tenore: “è soppressa la festa di fatto del 1 maggio e tutte le pattuizioni intervenute tra industriali ed operai per la giornata di vacanza in tal giorno dovranno essere applicate il 21 aprile e non il 1 maggio.”

Nel 1945, nel bel mezzo della Liberazione italiana e tre giorni dopo la morte per fucilazione di Benito Mussolini in fuga, il Primo Maggio ritrovò una rinnovata partecipazione di massa dei lavoratori di ogni condizione ed età.

Con le “Disposizioni in materia di ricorrenze festive” del 1946, la Festa del Lavoro fu riconosciuta infine festività nazionale, e con ciò istituzionalizzata e definitivamente ricollocata nella data del 1 maggio.

Finalmente, dunque, appena conclusa la seconda guerra mondiale, il Primo Maggio smise di essere una giornata di manifestazione delle istanze dei lavoratori tollerata oppure osteggiata apertamente, a seconda delle alterne vicende storiche, per diventare una festività nazionale nella Repubblica italiana che, proprio tra il 1946 e il 1947, i Padri costituenti in assemblea scelsero di definire come “fondata sul lavoro”.

Questa alternativa scatenò delle discussioni sul primo articolo della Costituzione, in sede di Prima Sottocommissione, per una contrapposizione di principio, trascinatasi fino al momento dell’approvazione del testo definitivo, tra chi propugnava la dicitura “Repubblica democratica di lavoratori” e chi preferiva altre formulazioni, comunque improntate al principio lavoristico.

Queste discussioni alla fine furono risolte nella formula “fondata sul lavoro”, che ritroviamo ancora adesso nel primo articolo della nostra Costituzione. Un’opposizione di principio alla posizione di un principio lavoristico si registrò, in assemblea costituente, solo da parte dei pochi deputati liberali e qualunquisti, che non intendevano tollerare nessuna ulteriore qualificazione della Repubblica democratica appena proclamata dopo la lotta di Liberazione.

“L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”

Ai giorni nostri la dicitura costituzionale “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” non ha ancora ricevuto una concreta attuazione, perché il lavoro non c’è ancora per tutti.

Sicuramente lo ha ritrovato l’ex capo politico del movimento 5 stelle, Luigi Di Maio, ex pupillo di Beppe Grillo, ex ministro dello Sviluppo, del Lavoro e degli Esteri. Dopo la clamorosa rottura con il Movimento non è riuscito a farsi rieleggere come deputato e sembrava aver concluso prematuramente la sua brillante carriera politica.

Ma la recente nomina a inviato dell’Unione Europea per il Golfo, proposta dall’Alto Commissario europeo Borrell, sta diventando per lui la grande occasione per tornare protagonista sulla scena politica.

Luigi Di Maio è nato 36 anni fa ad Avellino, poi è cresciuto a Pomigliano d’Arco, suo padre è un imprenditore nel campo dell’edilizia. Diplomato al Liceo classico, studente di giurisprudenza, e stuart allo stadio San Paolo di Napoli decide di aderire nel 2007 al movimento di Grillo e Casaleggio, divenendone ben presto deputato.

Il 21 marzo 2013 Luigi Di Maio viene eletto vicepresidente della Camera, il più giovane della storia, a soli 26 anni e in un movimento nato con il motto “uno vale uno”, quell’incarico di prestigio lo porta inevitabilmente a emergere.

L’atteggiamento pacato e il suo modo di fare quasi democristiano spingono Grillo a definirlo un “politico”, rispetto a figure emergenti più marcatamente oltranziste ma estremiste, come quella di Alessandro Di Battista. Beppe Grillo affiderà a lui, anche per questo motivo, la guida politica del movimento, confermata poi con un voto schiacciante addirittura con percentuali bulgare sulla famigerata piattaforma Rousseau. Le elezioni politiche del 4 marzo 2018 decretano la vittoria per il M5S, ma per governare è necessario scendere a patti con le altre forze politiche, in primis con la Lega di Matteo Salvini, altro vincitore delle elezioni.

Nasce così il governo giallo-verde e Luigi Di Maio è costretto a fare un passo indietro, cedendo la possibilità di diventare presidente del Consiglio a Giuseppe Conte, di cui si limita a diventare vicepremier e ministro dello Sviluppo e del Lavoro. L’alleanza con il partito di Matteo Salvini non porterà bene, sia a Di Maio, che al movimento 5 stelle, perché la Lega ben presto decolla nei sondaggi e oscura il M5S alle elezioni europee del 2019.

Dopo la caduta del governo Conte I, inizia a consolidarsi l’intesa con il Pd, ma anche il fuoco amico nel suo movimento e soprattutto il gelo di Grillo lo costringe al passo indietro dalla leadership dei 5 stelle. Riesce però a riprendersi sul piano istituzionale e addirittura approda alla Farnesina nel 2019 con il governo Conte bis, ottenendo pure la conferma due anni dopo quando a palazzo Chigi arriva Mario Draghi.

Al ministero degli Esteri il suo atteggiamento pacato e pragmatico si esalta ancora di più, ma nel suo movimento Di Maio va in difficoltà, soprattutto quando Conte ne diventa capo politico. La frattura maggiore con il nuovo leader del M5S, Giuseppe Conte, avviene sull’invio delle armi all’Ucraina perché l’ex presidente del Consiglio critica il Governo, di cui lo stesso ministro degli Esteri pentastellato fa parte.

Di Maio poi, di rimando critica l’ex premier, dopo la sconfitta elettorale alle comunali del 2022 e ne contesta l’atteggiamento ondivago e ostativo nei confronti del governo Draghi.

Luigi Di Maio esce dal M5S nel giugno 2022 e insieme ai suoi fedelissimi, crea il gruppo parlamentare centrista Insieme per il futuro, che rivendica il sostegno a Draghi e mantiene l’alleanza con il PD. Il gruppo si trasforma poi attraverso l’alleanza con il Centro democratico di Tabacci, esperto politico democristiano, nel partito Impegno Civico, con il quale Di Maio si è presentato, all’interno della coalizione di centro-sinistra, alle ultime elezioni politiche del settembre 2022, ottenendo appena lo 0,6%,, percentuale con la quale non riesce ad essere eletto alla Camera nei collegi proporzionali, ma non riesce a farsi eleggere nemmeno nel collegio maggioritario di Napoli, al contrario di Tabacci, unico rappresentante di Impegno Civico ad approdare nell’attuale Parlamento.

 

 


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