L’umanità e la terra promessa – Giorno della memoria, per non dimenticare

27 Gennaio – Giorno della Memoria –  Coltivare la memoria perché simili eventi non accadano più, per indagare e ricordare il passato e comprendere meglio il presente, al fine di progettare un futuro che non ripeta gli orrori del passato

Quest’anno il Giorno della Memoria per commemorare le vittime della Shoah assume un significato ancora più importante.  Il 27 gennaio del 1945 fu il giorno della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche dell’Armata Rossa, impegnate nella offensiva Vistola-Oder in direzione della Germania, un passo fondamentale per rivelare al mondo la tragedia dell’Olocausto.

Durante la Seconda Guerra mondiale ci furono sessanta milioni di morti e la conclusione avvenne con le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, altra pagina nera dell’umanità, forse la peggiore.

Il primo novembre del 2005 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 60/7, decise che quella data avrebbe dovuto ricordare, a livello internazionale, la Shoah e così nacque il “Giorno della Memoria”.

Il Giorno della Memoria in Italia

Lo Stato Italiano nel 2000 già aveva riconosciuto “il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah, lo sterminio del popolo ebraico, le deportazioni di militari e politici nei campi di sterminio nazisti, le leggi razziali, la persecuzione italiana, da parte fascista con la collaborazione di civili fedeli a Mussolini, dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio e, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e dato asilo ai perseguitati.

In occasione del “Giorno della Memoria” si organizzano cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico, ma anche a migliaia di rom e sinti, e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.

L’obiettivo è coltivare la memoria perché simili eventi non possano più accadere, per indagare e ricordare il passato e comprendere meglio il presente, e al fine di progettare un futuro, che non ripeta gli orrori del passato. Continua ad essere forte il desiderio di liquidare il passato attraverso l’oblio e il “revisionismo storico”, fatto che ci fa capire come sulla memoria possa scatenarsi una contesa, che non serve a migliorare la vita degli esseri umani. La memoria deve servire a indagare l’avvenimento, ma deve contestualizzare anche la complessità degli eventi attraverso una ricostruzione storica, che si avvalga di fonti inoppugnabili, per servire da monito per il futuro.

Giornata della memoria
Giornata della memoria

 

I conflitti che si stanno consumando all’ombra dell’Occidente sottolineano che non si impara dagli errori del passato

Purtroppo anche i tempi attuali sono caratterizzati da una conflittualità militare sempre più estesa in tanti, troppi, scenari di guerra. Papa Francesco più volte ha detto testualmente : “Siamo in presenza di una terza guerra mondiale a pezzi”.

Da queste parole si capisce, come non sia possibile riflettere nel 2024 sul Giorno della Memoria senza considerare nello stesso tempo i conflitti che si stanno consumando all’ombra dell’Occidente.

Siamo giustamente ancorati al concetto valore dell’inevitabilità della pace, consapevoli che la guerra debba diventare impossibile, perché non possono esserci alternative alla pace, visto che le armi atomiche disponibili, se utilizzate, avrebbero effetti devastanti sulla vita del pianeta.

Purtroppo i fatti di Gaza stanno superando in orrore i conflitti in Ucraina e in altri paesi. Le guerre determinano sempre  morte tra i combattenti e la popolazione civile e immani distruzioni di aree storiche. Solo nella Striscia di Gaza di 365 chilometri quadrati con circa 2 milioni e 300 mila abitanti, il numero dei civili morti, risulta essere di  oltre 24.000 e fra questi moltissimi bambini.

Ci sono condizioni materiali di vita, per chi continua a risiedervi, molto complicate  e molti cominciano ad utilizzare il termine genocidio utilizzato per la Shoah, anche per la questione della Palestina.

Oltre le polemiche per i cortei pro Palestina organizzati in questi giorni, in Francia e pure in Italia si sviluppano nel mondo della scuola e della formazione riflessioni e critiche per i fatti bellici del presente, legando le riflessioni sulla tragedia della Shoah alla ricostruzione della storia mediorientale, perché magari comprendendo meglio le ragioni profonde del conflitto attuale sia possibile costruire, coerentemente con il “Giorno” della Memoria”, un vero percorso di pace.

Lo Stato di Israele si è formato nel 1948, e oltre la presenza massiccia di ebrei europei, l’insediamento era stato ottenuto da un colonialismo probabilmente esasperato, iniziato già prima della seconda guerra mondiale, penalizzante per circa settecentomila palestinesi, che vivevano nelle terre di Gaza e dintorni.

Il problema è diventato più consistente  dopo il manifesto per la costituzione dello Stato ebraico pubblicato da Theodor Herzl, fondatore e principale ideatore del sionismo, un movimento fondato sull’idea di ricostruire uno Stato ebraico dopo due millenni di diaspora e si rivolgeva a una parte sola della popolazione.

Si applicò il principio dell’esclusività etnocratica e teocratica, ma questo fatto di esaltare la “superiorità di un popolo” e addirittura il ritorno alla “terra promessa per il popolo eletto” fa capire  come le vicende della seconda guerra mondiale  non siano state un insegnamento utile, proprio per il popolo che ha maggiormente sofferto l’Olocausto.

Infatti “Una terra senza un popolo per un popolo senza terra” fu uno slogan infelice, che non solo non vedeva gli altri come esistenti, ma si prefiggeva l’obiettivo, peraltro realizzato in parte, di cacciare i palestinesi dalle loro terre e poi anche gli arabi e i goyim. Bisogna che la diplomazia internazionale lavori tanto per rendere più forti le ragioni della pace e della convivenza, perché non siano ripetuti nuovamente i tragici errori del passato, perché nessuno può essere giustificato per ignoranza.

La Terra appartiene a tutti

Fu il celebre filosofo Emmanuel Kant a ricordare  agli uomini il fatto fondamentale di riconoscere, che la Terra appartiene a tutti. Il concetto di Kant è espresso con queste testuali parole: “in virtù del diritto della proprietà comune della superficie terrestre, sulla quale, in quanto sferica, gli uomini non possono disperdersi all’infinito, ma alla fine devono sopportare di stare l’uno al fianco dell’altro; originariamente però nessuno ha più diritto di un altro ad abitare una località della Terra”.

Forse anche gli Stati Uniti intendono ispirarsi alle parole di Kant, perché la sua azione diplomatica riprende finalmente a lavorare in Medio Oriente per una soluzione a due Stati, Israele e Palestina, come ha dichiarato ai giornalisti a bordo dell’Air Force One, il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby.

L’obiettivo del governo attuale americano a guida democratica è di creare una Gaza post-bellica, evitando una rioccupazione della striscia da parte israeliana. Nel frattempo in questi giorni continuano gli attacchi delle milizie Houthi alle navi nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden, mentre il capo della milizia yemenita, sostenuta dall’Iran, Abdul Malik al Houthi, ha esortato il mondo arabo a organizzare un boicottaggio di massa delle merci israeliane, promettendo che continueranno gli attacchi alle navi collegate a Israele.

L’esercito americano cerca di contenere queste ritorsioni a sua volta attraverso attacchi missilistici contro i siti controllati dagli Houthi nello Yemen, come ha confermato lo stesso presidente, Joe Biden. Attualmente c’è tensione anche tra Pakistan e Iran perché Islamabad ha lanciato raid aerei contro gruppi militanti anti-pachistani nei pressi di Saravan, città nella provincia sudorientale iraniana del Sistan e Baluchistan, al confine tra i due Paesi, dopo che Teheran nei giorni scorsi aveva colpito sul territorio pachistano il gruppo Jaish al-Adl, considerato invece “terrorista” dal regime iraniano.

La situazione più drammatica rimane quella nella Striscia, perché secondo Hamas sono quasi 25 mila i palestinesi uccisi e 61.830 feriti negli attacchi israeliani dal 7 ottobre, con altre centinaia di morti e feriti negli ultimi giorni, di cui almeno 16 persone sarebbero state uccise da un attacco aereo israeliano su una casa a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, nella quale continua ad esserci il blackout dei servizi di telecomunicazioni.

L’esercito israeliano da parte sua afferma invece di stare operando sul terreno più meridionale in cui hanno operato finora le truppe di terra dell’IDF, prendendo di mira esclusivamente le infrastrutture di Hamas. A Strasburgo finalmente  il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione non vincolante per chiedere un “cessate il fuoco permanente” nella Striscia di Gaza, seppure condizionato al rilascio di tutti gli ostaggi israeliani e allo smantellamento definitivo di Hamas.

L’Unione Europea ha intenzione di adottare sanzioni contro Hamas, per colpire i singoli individui più influenti dell’organizzazione terroristica e vietare i trasferimenti di denaro. È possibile pure che i ministri degli Esteri dell’Unione Europea discuteranno le possibili misure contro i coloni israeliani. Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha dichiarato al segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin come lo stato di Israele sia impegnato a continuare la guerra contro Hamas nella striscia di Gaza senza sosta, fino a quando i suoi obiettivi di eliminare il gruppo palestinese e salvare gli ostaggi non saranno raggiunti.

Gallant ha informato la sua controparte americana sugli sviluppi operativi della guerra, compresi i risultati ottenuti negli sforzi militari in corso, per smantellare le infrastrutture del terrorismo ed eliminare i terroristi di Hamas attraverso la Striscia, dice il suo ufficio di comunicazione.

I due ministri hanno anche discusso della necessità di ridurre al minimo le vittime civili nella Striscia di Gaza, combattendo però i terroristi di Hamas radicati nella popolazione civile.

Favole sportive: speranza di un futuro migliore

Mentre la guerra tra Israele e Hamas imperversa la nazionale palestinese di calcio, riconosciuta dalle autorità sportive asiatiche, riesce clamorosamente a raggiungere il risultato storico della qualificazione alla fase eliminatoria della massima competizione calcistica del continente, battendo nettamente 3-0 La nazionale di Hong Kong.

Lo stesso risultato storico lo ottiene pure la nazionale della Siria, altra nazione martoriata dal 2011, per le sue vicende di guerra civile, dopo la vittoria per 1-0 sull’India, e grazie soprattutto alla sapiente esperienza dell’allenatore argentino Coper, che in Italia ha guidato Inter e Parma.

Queste favole sportive regalano piccole gioie a popolazioni martoriate, ma anche speranze di un futuro migliore, come confermano i pianti e gli abbracci dei giornalisti siriani dopo la qualificazione. Invece i calciatori palestinesi,  quando si sono resi conto di essere passati agli ottavi, hanno esultato con il 2, le due dita, che indicano libertà e solidarietà, lo stesso gesto che utilizzava Yasser Arafat, a lungo leader politico del paese palestinese.

L’allenatore tunisino della Palestina, Macrame’ Daboub, ha dichiarato testualmente : “Significa molto per la gente questa qualificazione. La maggior patte del tempo la nostra testa sta da un’altra parte, abbiamo paura quando torniamo negli spogliatoi di accendere il telefono e ricevere notizie che non vorremmo leggere”.

Prima della guerra alcuni calciatori della nazionale palestinese giocavano in Israele, ma la maggior parte milita nel Al-Mokaber o all’Al-Quds, cioè squadre palestinesi. Chi è riuscito ad avere una carriera in Europa, come Oday Gabbagh, il goleador della squadra, lo fa in squadre certo non di primo livello. come la belga Charleroi, il regista di centrocampo Jaber è al Neftçi Baku.

Ma c’è anche chi, come Mohammed Rashid gioca in prima divisione, ma in Indonesia, nientemeno che al Bali United. Non manca, anche nel caso della Palestina, un sudamericano come Camilo Saldaño, palestinese, sì, ma nato in Sudamerica a Santiago del Chile.

Il popolo palestinese  è sempre stato costretto a trovare rifugio altrove, ma  in questo momento così terribile, sotto alle bombe, prova a trovare nel calcio, un oasi di tranquillità, a dimostrazione di quanto possa essere importante lo sport più popolare al mondo. Non servono i soldi al calcio per continuare a regalare emozioni, ma i sentimenti e la voglia di emergere, come dimostrano le vicende delle nazionali di Siria e Palestina.


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