Vi siete mai senti dire: “Nun fa’ ‘o Zeza!”? Magari sì e magari non ne avete capito neanche il significato. Si tratta di un’espressione squisitamente napoletana che però ha delle curiose varianti a seconda se viene rivolta ad un uomo o ad una donna. Questa domenica, ESPRESSO NAPOLETANO, la rubrica di MAGAZINE PRAGMA, vi spiega il perchè.
“Nun fa’ ‘o zeza”
Dire ad un uomo “nun fa’ ‘o zeza” equivale a dire: “Finiscila di essere scorretto e falso!“. In questo caso l’epiteto è un invito a porre fine a delle ciancie che puzzano di fregatura. “Zeza”, ad esempio, è l’uomo che ci prova con una donna usando frasi smielate solo per farsi strada.
Di contro, dire ad una donna che “è na zeza”, equivale a darle della “gallina”.L’epiteto, in questo caso viene utilizzato per identificare una donna frivola, civettuola, svampita, falsamente ingenua.
Il termine “Zeza” deriverebbe da Lucrezia, la moglie di Pulcinella, chiassosa, svampita, esageratamente irritante per gli eccessi di drammaticità (la regina della “sceneggiata”), nonostante non sia proprio una santa e Pulcinella lo sa bene.
Nel corso dei secoli, Zeza è diventato anche sinonimo di “messa in scena”, di teatrino.
Uno spettacolo carnevalesco
La Zeza è anche una scenetta carnevalesca, cantata al suono del trombone e della grancassa risalente, con ogni probabilità, alla seconda metà del Seicento.
Questo spettacolo è ancora presente in alcune province irpine, e può essere considerata un pezzo di teatro popolare prettamente campano. Note sono quelle rappresentate dalla frazione di Bellizzi Irpino e dai comuni di Cervinara, Mercogliano, Capriglia Irpina, Monteforte Irpino, Volturara Irpina, Montoro, Solofra e Montemiletto, nonché di San Leucio del Sannio, paesino in provincia di Benevento.
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Per ESPRESSO NAPOLETANO anche:
- “A Maronna t’accupagna”
- “Adda venì Baffone”
- “O cippo a Furcella
- “Pare ‘a trummetta a Vicaria”
- “Pare ‘a nave ‘e Franceschiello
- “Giorgio se ne vò jì e ‘o vescovo ne ‘o vò mannà“.
- “Giacchino mettette ‘a legge e Giacchino fuje acciso”
- “O Padreterno nun è mercante ca pava ‘o sabbato”.
- “A muta ‘e Puortece
- “Caruso, melluso, miett ‘a cap int’a o purtuso”